Nelle 145 pagine dell'indagine che hanno portato all'arresto dell'ex sindaco e del capogruppo regionale del Pdl, Villani, si tentava di ottenere nomi "vicini" in incarichi istituzionali contattando i vertici dei partiti di centrodestra nazionali.
C’era il sindaco Pietro Vignali, l’amministratore giovane con gli abiti eleganti fatti su misura e i capelli laccati, l’immagine da mettere in vetrina e mostrare sulla stampa locale e nazionale. E poi c’era Luigi Giuseppe Villani, il capogruppo Pdl in Regione e ras degli azzurri di Parma, senza un incarico formale in Comune ma a tutti gli effetti il deus ex machina con cui l’ex primo cittadino si consultava quotidianamente per stabilire le strategie da utilizzare in Comune. Due facce della stessa medaglia che negli ultimi anni avevano fatto di Parma un piccolo Ducato su misura, in cui gli interessi privati scavalcavano quotidianamente quelli pubblici, forti anche del sostegno a livello nazionale dei big della politica, da Silvio Berlusconi a Gianni Letta, da Niccolò Ghedini a Roberto Maroni.
Maroni e la nomina del prefetto. Figure fidate posizionate nei settori chiave della pubblica amministrazione, nomine ad hoc, gare d’appalto pilotate, controllo della stampa locale erano gli ingranaggi del meccanismo di potere creato da Vignali e Villani, che non si limitavano soltanto a influenzare i settori di competenza dell’amministrazione comunale. Nell’ordinanza di custodia cautelare dell’inchiesta Public Money della Procura di Parma risultano tentativi per condizionare le nomine di prefetto, questore, perfino del commissario prefettizio che avrebbe preso il posto di Vignali dopo le sue dimissioni a settembre 2011.
Per la figura del prefetto Villani e Vignali cercavano qualcuno che potesse allinearsi alla loro volontà e per farlo avevano sfruttato anche la conoscenza dell’allora ministro Roberto Maroni, più volte a Parma durante il mandato dell’ex sindaco. “Bisogna cat stag atenti al nov prefect can vena miga un spacabali (bisogna che stai attento al nuovo prefetto che non venga mica un rompiballe)” scrive in un sms in dialetto parmigiano Villani a Vignali, dando poi il via alle consultazioni a due per un possibile papabile. È lo stesso Maroni, ad aprile del 2010, a chiedere a Vignali di segnalargli un nome e il sindaco lo riferisce in una telefonata a Villani. Da Parma arrivano due nominativi, quello di Francesco Russo, al tempo capo di gabinetto a Parma, e quello di Luigi Viana, allora prefetto di Piacenza. Alla vigilia della nomina a maggio presso il consiglio dei ministri, Villani suggerisce a Vignali di telefonare a Viana per anticipargli la notizia, in modo da far capire al candidato il loro merito nella vicenda, così da “mettersi in linea subito”. E in effetti il sindaco il giorno successivo chiama Viana, spiegandogli che sono stati lui e Villani a fare il suo nome a Maroni. A operazione conclusa, Vignali informa il suo consigliere: “Finito adesso con il prefetto, tutto a posto, gli ho letto un po’di patti e gli ho anche detto che tu hai un rapporto personale, forte con Letta e con Maroni”.
L’ingerenza di Villani e di Vignali arriva perfino al commissario prefettizio che avrebbe dovuto prendere il posto del sindaco dopo le sue dimissioni per gli scandali Green Money nel 2011. Il gip Maria Cristina Sarli scrive che nonostante le difficoltà delle indagini che hanno coinvolto alcuni funzionari comunali, i due “cercano in tutti i modi di condizionare la nomina del commissario prefettizio che dovrà amministrare Parma, traghettandola sino alle future elezioni”.
Poltrone ducali. L’ultima parola di Vignali e Villani arriva anche per altre importanti nomine in città, dalla Scuola europea al Conservatorio, fino all’azienda di trasporto locale Tep, alle fondazioni bancarie e alle partecipate del Comune come Stt Holding, in cui viene piazzato Andrea Costa, arrestato nel blitz della Guardia di finanza. Ci sono poi tutte le altre nomine, come quella dell’editore Angelo Buzzi, finito anch’egli ai domiciliari, che in cambio di una linea editoriale del giornale Polis Quotidiano compiacente con l’amministrazione Vignali ha ottenuto l’incarico di presidente di Iren Emilia.
Ma anche Villani, riuscito ad avere la poltrona di vicepresidente Iren per “portare avanti in simbiosi con il sindaco scelte strategiche per la sua immagine, come quella del termovalorizzatore”. In un sms il consigliere regionale Pdl parla del compenso che si poteva avere con la nuova società Iren: 300mila euro, di cui 130mila sarebbero stati per Vignali e 40mila per il “vecchino” (ossia, come spiegano gli inquirenti, Antonio Costantino, presidente della cooperativa sociale Proges, che non risulta coinvolto nell’inchiesta).
Un incarico, quello di Villani, da tempo contestato dall’amministrazione di Federico Pizzarotti, che ora chiede un passo indietro. “Il Comune si costituirà parte civile perché adesso siamo costretti ad avere tasse più alte perché in passato sono state sprecate risorse – ha detto il sindaco, riferendosi poi a Villani, vicepresidente di Iren – andranno rimosse le persone arrestate che ricoprono incarichi nelle società partecipate e che devono essere all’altezza degli incarichi, nel segno della trasparenza”. La stessa multiutility si è definita “parte lesa”, come già per le inchieste Green Money, e ha annunciato che collaborerà con i pm. Dagli atti infatti risulta che gran parte della campagna elettorale di Vignali del 2007 sia stata pagata anche con fondi della multiutility (allora Enìa) girati alla cooperativa Sws.
Sws, il forziere. Secondo gli inquirenti la piccola società gestita dagli stretti collaboratori dell’allora assessore all’Ambiente Vignali veniva utilizzata come “un forziere” in cui confluiva denaro pubblico da Enìa e dalle società satellite del Comune. Ad essa venivano affidati in modo diretto incarichi e lavori in realtà inesistenti in cambio di fatture e rimborsi spese fittizi per giustificare l’uscita di denaro utilizzato per promuovere l’immagine di Vignali. Lavori “a margine”, come li chiamano i diretti interessati, ossia inesistenti o a prezzi di appalto gonfiati, in modo che i soldi tornassero direttamente nelle mani di Vignali, che una volta al mese ne prelevava una parte in contanti. Il tutto con la promessa che una volta diventato sindaco avrebbe affidato alla cooperativa “lavori buoni, con un buon margine” di profitto per coprire le perdite di quelli a margine zero. La cooperativa aveva addirittura due conti appositi, chiamati “conto Ernesto” e “conto Emanuele” (che si riferiscono a Ernesto Balisciano, amministratore di fatto di Sws e all’ex dirigente comunale Emanuele Moruzzi), che altro non erano che elenchi di costi che la società sosteneva a favore di Vignali.
Documenti che vengono distrutti dopo i primi arresti del giugno 2010, nella prima inchiesta di Green Money. Su ordine di Balisciano, i soci di Sws cancellano e spostano file, e inoltre portano materiale cartaceo e computer nelle ecostazioni. “Cose strane… di pagamenti strani… di personaggi strani” dice Tommaso Mori a un suo collaboratore, riferendosi ai documenti da far sparire, che per confessione dello stesso Balisciano contenevano “consulenze in nero”, ma anche fatture a Parma People, l’associazione che sosteneva la candidatura del sindaco.
Tutta questione di immagine. L’immagine e il consenso dei cittadini erano il pallino dell’ex sindaco di Parma. Tanto che per ottenere il favore dei parmigiani aveva escogitato una vera e propria strategia, perseguita negli anni con l’aiuto degli amici fidati di sempre, tutti piazzati in posti chiave dei settori pubblici del Comune, ma soprattutto sempre pagata con soldi pubblici.
Prima la campagna elettorale cominciata da assessore con cui, tramite il sistema di sensibilizzazione sulla raccolta porta a porta, Vignali era riuscito materialmente a entrare nelle case dei cittadini. Addette pagate dalla cooperativa Sws, oltre a illustrare le novità in fatto di rifiuti, avevano il compito di “profilare i cittadini”, di nominare l’assessore Vignali per tastarne il gradimento. “Qualora taluni avessero manifestato particolare gradimento verso l’assessore – scrivono gli inquirenti – venivano ricontattati telefonicamente. Infatti il nominativo veniva inserito in un database utilizzato per il servizio recall (sempre gestito da Sws) in prossimità delle iniziative elettorali”.
Vignali doveva essere sempre al top, il sindaco “simpa” da copertina e per questo aveva anche assunto a tempo determinato Emanuela Iacazzi, che da contratto avrebbe dovuto illustrare “le attività di istituzioni e il loro funzionamento e supportare l’ufficio relazioni esterne per l’organizzazione eventi”. Ma secondo la Procura negli effetti la donna, pagata con soldi del Comune, aveva il compito di accompagnare il sindaco nelle più disparate occasioni, dai concerti alle cene, dalle partite al Tardini alle rappresentazioni al Regio, quindi a scopo privato. “Le indagini – si legge nel documento degli inquirenti – hanno portato ad accertare che la Iacazzi in realtà svolgeva un ruolo di supporter dell’immagine personale di Vignali” per una sua futura rielezione.
Tutto costruito, tutto pensato nel minimo dettaglio, dagli articoli di giornale concordati agli spazi sulle emittenti nazionali, fino al profilo Facebook con falsi commentatori creati appositamente per lasciare messaggi di apprezzamento: “Ci sono un sacco di attacchi su Fb – scrive in un sms Vignali al giornalista Aldo Torchiaro, che curava la sua pagina, dopo gli arresti del 2011 – Bisogna rispondere a costo di mettere su due o tre persone che stiano sveglie tutta la notte”. Anche quando ormai tutto sembrava perduto e i cittadini chiedevano le sue dimissioni sotto i Portici del grano, Vignali non si dà per vinto e con i suoi organizza una petizione online a suo sostegno. “Come siamo messi con quella petizione? – chiede ancora il sindaco a Torchiaro – Quella contro di me online ha già raggiunto le 1.000 firme. Ne parlano oggi i giornali. Siamo nel mezzo della crisi, dobbiamo darci una mossa”. Risponde Torchiaro: “Sto mettendo dentro firme fittizie online. Purtroppo molti dei nostri non ci hanno dato una mano”.
Vignali sarà costretto a dimettersi qualche mese dopo, a fine settembre. Tutti questi fatti però sono venuti alla luce solo un anno e mezzo dopo, con l’ultima inchiesta della Procura, arrivata ai vertici di quello che una volta a Parma era il Palazzo. “E’ cominciata la campagna elettorale”, ha commentato di fronte ai giornalisti il consigliere Pdl Villani all’uscita dalla Finanza. Dopo i beni, la Procura ha disposto il blocco dei conti correnti degli arrestati e acquisito documenti presso le banche per ricostruire i movimenti di denaro. Durante il blitz gli uomini delle Fiamme gialle hanno perquisito le abitazioni di Vignali, Villani, Buzzi e Costa, dalla cantina dell’ex sindaco hanno sequestrato scatoloni di documenti e un computer. Gli inquirenti li stanno esaminando, cercando di fare chiarezza nel sistema che per anni ha tenuto in pugno le sorti della città ducale.