Dal viale alberato del lungomare di Gaeta basta un piccolo sforzo per scoprire la collina nera sulla banchina della zona commerciale. Alta una quindicina di metri, contornata dai new jersey di cemento, attende inutilmente la nave che avrebbe portato quel materiale color ferro verso la Turchia. Dal lato mare appena si intravede un cartello con la firma della Capitaneria di porto, della Guardia di Finanza e della polizia provinciale di Latina: “Area sottoposta a sequestro giudiziario”. Per l’Arpa Lazio quel materiale è un rifiuto speciale e non una materia destinata al recupero, come aveva dichiarato la società responsabile del carico. Non poteva partire ed ora l’ipotesi di reato per quella che gli investigatori chiamano “l’organizzazione” è traffico internazionale di rifiuti speciali. Il tutto via mare, come accadeva vent’anni fa, dai porti di Marina di Carrara, di Pisa e di La Spezia. Sono, dunque, tornate le rotte delle navi dei veleni? E’ presto per dirlo, ma di certo questa storia presenta elementi che in tanti definiscono “inquietanti“.
Da un punto di vista strettamente formale la vicenda potrebbe apparire come una sorta di peccato veniale. “Non abbiamo trovato rifiuti pericolosi”, spiegano dai vertici dell’Arpa Lazio. Di fatto, però, le 2800 tonnellate di materiale ferroso non rispettano le specifiche imposte dalle norme comunitarie per esportare senza problemi materiale da recupero. Troppo contaminato. Ma è seguendo la filiera che ci si imbatte in tanti elementi troppo sospetti. I primi di dicembre dello scorso anno una lunga fila di camion provenienti in buona parte dall’area del Casertano avevano iniziato ad accumulare i rifiuti ferrosi sulla banchina del porto di Gaeta. Decine di camion, in un viavai che sembrava non terminare più.
Raccontano nel porto che un funzionario particolarmente attento della dogana abbia deciso di vederci chiaro. La nave non era ancora arrivata, la Capitaneria non aveva ricevuto nessuna comunicazione di “accosto”, mentre sui documenti il compratore risultava essere una società maltese, la Eri Metal Scrap, e la destinazione finale una fonderia in Turchia. Il 18 dicembre scatta l’operazione di sequestro, compiuta da un gruppo interforze: scattano i sigilli per la collina nera che si era intanto formata sulla banchina, in un area affittata dalla società Di Sarno (il principale operatore portuale di Gaeta), vengono identificati i trasportatori, si acquisiscono i documenti. “Molti autisti erano pregiudicati – sussurrano alcuni operatori portuali – anche per reati gravi”. Alcuni di loro – aggiunge il quotidiano Latina Oggi – avrebbero avuto rapporti con esponenti del clan dei Casalesi. Ma soprattutto si scopre che altri trenta camion erano pronti ad entrare in porto con un migliaio di tonnellate di materiale a fine dicembre, quando la nave – non ancora identificata – sarebbe stata pronta a partire, magari mentre la cittá si preparava a festeggiare il Capodanno.
La Capitaneria di Porto di Gaeta sta mantenendo il riserbo assoluto ed è quasi impossibile rompere il muro di silenzio che si è creato attorno alla vicenda. “La questione preoccupa – spiega Corrado Carruba, direttore dell’Arpa Lazio – perché sicuramente qualcosa non funziona nella filiera”. Il pm di Latina Eleonora Tortora sta ora studiando attentamente le informative arrivate in Procura, per decidere se confermare l’ipotesi di traffico internazionale di rifiuti. Ovvero il ritorno inaspettato delle rotte discrete dei veleni, in un porto a cavallo tra il sud pontino e la provincia di Caserta, terra indiscussa delle eco mafie.