L’Autorità monetaria delle Isole Cayman (CIMA) ha predisposto un programma di riforma regolamentare per rendere più trasparente il sistema finanziario locale. Lo ha riferito il Financial Times citando i contenuti di un documento non ancora pubblico inviato dalla stessa Authority alla business community degli operatori registrati nelle tre isole che compongono l’arcipelago. Il piano, spiega il quotidiano britannico, consisterebbe essenzialmente nella realizzazione di un database pubblico dei fondi domiciliati alle Cayman e dei nomi dei loro direttori. Un’iniziativa senza precedenti capace di aprire un inedito squarcio in quella consolidata cappa di segretezza che ha permesso alla nazione caraibica di trasformarsi negli anni in uno dei più noti paradisi fiscali del mondo. La decisione finale dovrebbe arrivare a metà marzo.
La riforma dovrebbe consentire quindi di far luce sulla rete di gestori che controllano i fondi registrati all’ombra delle palme, evidenziando le anomalie che si sospettano da tempo. Già nel 2011 il Financial Times aveva evidenziato come alcuni singoli dirigenti risultassero presenti contemporaneamente nei consigli di amministrazione di centinaia di fondi. Una situazione paradossale frutto di una segretezza che molti operatori ora non intenderebbero più accettare. A risultare determinante nel cambio di rotta promosso dall’authority sarebbe stata anche la crescente pressione dei fondi pensione, intenzionati finalmente a ricevere maggiori informazioni sugli omologhi offshore nei quali investono periodicamente.
Le richieste dei fondi pensione si inseriscono per altro in un contesto politico decisamente particolare. Dopo lo scoppio della crisi finanziaria, i governi occidentali hanno puntato l’indice contro i paradisi fiscali incrementando la loro pressione su questi ultimi. Il tema delle riforme e le critiche all’opacità del sistema finanziario sono quindi finiti in mezzo al dibattito politico condizionando, a tratti, le stesse campagne elettorali. Durante la corsa presidenziale americana, il candidato repubblicano Romney si ritrovò nella bufera dopo le rivelazioni circa i suoi presunti investimenti milionari tramite una rete di società registrate proprio alle Cayman. Persino in occasione delle primarie italiane del centrosinistra, il paradiso caraibico è riuscito a rendersi protagonista di un’indimenticabile polemica politica.
Ma quanto vale l’industria finanziaria delle Cayman? Difficile affermarlo con certezza vista, ovviamente, la scarsa trasparenza dei dati. Secondo le cifre ufficiali fornite dalla CIMA, citata dall’Ft, i fondi registrati nel Paese sarebbero 9.438. L’ultimo rapporto dell’ong Tax Justice Network (TJN) alza lievemente la stima a “oltre 10mila” evidenziando inoltre la presenza di 300 banche e più di 90mila società. In pratica un ammontare complessivo di registrazioni pari al doppio del numero degli abitanti (52 mila). Secondo il Fondo monetario internazionale, ripreso da TJN , il controvalore degli assets totali gestiti dai fondi speculativi di base alle Cayman varrebbe circa 2,2mila miliardi di dollari. Una cifra, per intenderci, vicina a quella del Pil dell’Italia ai tassi di cambio ufficiali.
Secondo la stessa ong, le Cayman compensano quasi il 5% dell’intero mercato mondiale dei servizi finanziari, una quota minoritaria rispetto a quella dei colossi Usa, Regno Unito e Lussemburgo, ma comunque impressionante se paragonata alle sue dimensioni. Nella graduatoria 2011 (l’ultima disponibile) del Financial Secrecy Index, l’indice elaborato da TJN per classificare 60 diversi paradisi fiscali ponderando il peso economico-finanziario di ogni giurisdizione con il suo livello di “opacità”, l’arcipelago occupa la seconda posizione dietro alla Svizzera precedendo nell’ordine Lussemburgo, Hong Kong e Stati Uniti.