Queste mie playlist riferiscono “solo” dei dischi che mi sono ritrovato ad ascoltare più volte. Non sono necessariamente relative ai dischi dal presunto maggior valore artistico, e nemmeno sono indicative del “nuovo”. (Ma esiste il nuovo? Ed è così decisivo?)
E inoltre:
1) Non fatemi troppo notare che non ci sono dischi italiani: lo so da me. Vuol più che altro dire che li ho ascoltati un po’ meno… :)
2) Ci sono altri lavori che mi sono piaciuti molto e che sono rimasti fuori. Ma se ne dovevo indicare dieci…(che poi, nel caso del rock sono 12 ma non sono riuscito a togliere gli esuberi)
Rock e affini (ordine casuale)
Heritage Blues Orchestra: And I still rise (mi piacciono un sacco perché sono cool. Perché suonano da paura. Perché sono divertenti. Perché hanno un feeling strepitoso. Perché il loro mix fra jazz e blues è irresistibile)
Otis Taylor: Contraband (trovo molto bella la sua voce, e mi piace l’intento affascinante e riuscito di ottenere una sorta di resa ipnotica utilizzando una materia consolidata come il blues. Con ricami soul. Non credo ci siano molti pezzi con più di due accordi, anche se non mi son messo lì a contare.)
O.Children: Apnea (il loro nome è, dichiaratamente da quel che ne so, il titolo di un pezzo bellissimo di Nick Cave: insieme al vocione del cantante – lo direste? È un nero – la cosa depone a favore :) Ma… seriamente: ciò che mi ha fatto ascoltare tante volte questo lavoro è la forza melodica di certi ritornelli, davvero fighi.)
Spain: The Soul Of Spain (è un gruppo “storico” che all’epoca probabilmente veniva classificato alla voce “slow-core”. Hanno una tempra in effetti vicina a un gruppo che ho adorato – i Low – ma il loro modo di essere country – fra virgolette – si commistiona più col jazz che non col rock. Adoro il pezzo dal titolo “Because your love”.)
Laurel Halo: Quarantine (mi fa schiantare quanto questa ragazza sia, o appaia, stralunata. Ho letto il termine “ipnagogico”, al suo riguardo, e lo trovo appropriato. Il tutto immerso in qualcosa di acquoso. Glu glu.)
The Darcys: Aja (sono un gruppo piuttosto sconosciuto di Toronto che si è permesso di rifare Aja, disco assai noto e “intoccabile” degli Steely Dan. Non sono mai stato un fan degli Steely Dan, semplicemente perché non li ho mai cagati, ma intanto questo rifacimento l’ho ascoltato molte volte perché mi piace un sacco la sua atmosfera. Prima o poi ascolterò per bene l’originale.)
Chelsea Wolfe: Unknown rooms (è una cantante di Los Angeles. Questi suoi pezzi mi hanno ricondotto alle atmosfere di “Rainy day”, una fantastica compilation degli anni ottanta che radunava alcuni esponenti del cosiddettopaisley underground, che amavo… i Rain Parade su tutti.)
Tindersticks: The Something Rain (musica che ha una calorosa piacevolezza, raffinata e avvolgente, suadente, e incurante della… fretta. Sono anni che suonano così, e questo disco raggiunge i vertici del loro fascinoso modo di essere.)
Grizzly Bear: Shields (sono un gruppo molto interessante in ambito rock tradizionale: ovvero fanno cose che incuriosiscono e, al primo ascolto, stupiscono. Non dico “nuove”, ma comunque non scontate o usuali: e ovviamente non è poco. Hanno stile e un carisma piuttosto curioso e straniante, e hanno alcuni pezzi davvero notevoli, “Yet again” in primis.)
LV: Sebenza (sono cose alla M.I.A., per certi versi, che a me divertono un sacco. E mi diverte un sacco la presenza di quel qualcosa che sa di Africa oltre che di sbruffonesca indolenza, mescolato a quel qualcosa che sa di Londra e di funky bianco e futuristico. Inevitabilmente: perché loro sono degli africani che operano a Londra, se non erro.)
Asaf Avidan: Different Pulses Web (c’è innanzitutto il tipo di andamento alla Massive Attack che mi è sempre piaciuto un bel po’. E poi c’è lui, con una voce assurda e attraente che cattura con le sue linee melodiche a volte piuttosto irresistibili. Verso la fine del lavoro ci sento melodie coheniane, nell’uso dei cori, e younghiane)
Cat Power: Sun (non sono mai stato un suo fan, ma un semplice ammiratore del suo appeal. Quest’opera invece l’ho ascoltata molto, perché ha delle ottime canzoni confezionate in un modo molto raffinato per quanto essenziale. Un pop volutamente leggero rispetto ai suoi standard, e immagino le barricate dei fans oltranzisti, eppure sostanzioso.)
Jazz e simili (ordine casuale)
Henry Threadgill’s Zooid: Tomorrow sunny (fornisce un’esperienza d’ascolto come può esserla quella di Captain Beefhart con il suo Trout Mask Replica – un disco “sacro”: ovvero la sensazione di non capire come fanno a stare insieme i musicisti, così fintamente sgangherati e all’apparenza ognuno per conto suo. Magico.)
Mery Halvorson: Bending Bridges (chi ama i Sonic Youth anche per la stupefacente maestria nel rompere le forme e poi ricomporle, potrebbe ritrovarsi qua nella stessa tipologia di incanti. Peraltro: la Halvorson è una chitarrista elettrica. Ovviamente eclettica e bravissima.)
Tim Berne: Snakeoil (agli inizi del 1960 venne coniata la definizione di un nuovo modo di intendere il jazz: “third stream”, un tentativo, riuscito e duraturo, di coniugarlo con la classica. Se vi fate un wiki-giretto vi potete documentare. A me affascina moltissimo, e con Tim Berne ci sento tanto di quel mondo.)
Wayne Krantz: Howie 61 (qui si ascolta del jazz-rock che cerca i tempi e la sintesi del pop. Il suono e le melodie, soprattutto quelle vocali, spesso sono quasi new-wave anni ottanta, anche se non riesco a trovare gli esempi giusti per essere meno vago. Molti i momenti strumentali eccitanti, soprattutto certi riff sulle basse frequenze.)
Neneh Cherry: The cherry thing (C’è lei con un trio dall’attitudine quasi punk: si tratta di canzoni grintosissime con lunghe digressioni jazz, dal tiro formidabile e con due o tre melodie vocali memorabili)
Tom Harrell: Number 5 (Tom Harrell è un trombettista dal timbro assai affascinante, e si fa accompagnare da quattro musicisti pazzeschi. C’è un suono caldissimo per tutto il disco, e alcuni soli sono intensissimi e travolgenti)
Marcin Wasilewski Trio: Faithful (mi sono sbagliato: questo è un lavoro del 2011… ma fa lo stesso. C’è spesso un pianismo con vene romantiche, ed è il tipo di romanticimo che mi piace in questo tipo di mondi, non rock per così dire. Loro sono solo in tre, ma sanno riempire il suono a disposizione in modo sorprendente.)
Jon Balke: Say and play (anche questo è uscito a fine 2011. E’ un lavoro difficilmente catalogabile e particolarmente astruso. Eppure mi piace molto. Una specie di world music fatta da musicisti scandinavi, con tante percussioni e giustapposizioni di piani e synth. Il tutto perfezionato da reading poetici in lingua nordica: il che conferisce fascino.)
Dave Douglas: Be still (c’è una malinconica dolcezza assai coinvolgente: la cantante ingaggiata per questa raccolta di materiale – rifacimenti della tradizione jazz e folk, e anche di quella religiosa, oltre a pezzi propri – si muove sentimentalmente attorno al feeling dell’esperienza della morte della madre di Douglas, dopo lunga lotto contro il cancro. Il suono dunque, anche qui, ha un calore speciale che rende la produzione affascinante)
Eivind Opsvik: Overseas IV (è difficile descriverlo. Parte con un pezzo che sa di 1700 e della tradizione barocca, con un clavicembalo in primo piano. Poi il viaggio si fa variegato, il clavicambalo spesso rimane, e in alcuni momenti prende corpo qualcosa di travolgente, ipnotico e in parte anche rock. Qui dentro, lungo tutta l’opera, ci sono cose stravaganti e assai curiose: materiale stimolante, per curiosi giustappunto)