Tunisi, giorno di vacanza e di festa per il secondo anniversario della fuga del dittatore Ben Alì. Mi è servito tornarci per capire la situazione e lo stato di salute della speranza tunisina.
La madre delle rivoluzioni arabe ha due anni. La primavera è diventata inverno? Stare in mezzo al corteo dei laici di sinistra del Fronte Popolare e del Partito Rivoluzionario e passare di fronte al raduno degli islamisti di Nnada, contrappuntato da qualche bandiera salafita: un’esperienza da fare, per comprendere, invece, che un profondo scontro politico culturale convive con un nuovo cemento democratico e liberale comune.
Ero salito sul camioncino per fare le foto e ho visto bene il calore quasi teatrale con cui ci si urlava reciprocamente in faccia “ Degage degage”, vattene, il fortunato slogan che ha accompagnato la cacciata del dittatore. Anche se non ci fosse stato lo smilzo cordone di poliziotti (senza casco né lacrimogeni) e la esile transenna disposte dal Ministero degli Interni non sarebbe volato neanche uno schiaffo. Eppure lo scontro è vivo, la gente parla di politica, il governo di Nnadha sta durando più del tempo promesso – l’Assemblea Costituente avrebbe in teoria dovuto cavarsela in un anno, dal 23 ottobre 2011 – l’opposizione un po’ cresce, l’economia non va.
Gli atti di intolleranza di una minoranza della minoranza salafita vengono costantemente sottolineati, rintuzzati, pure in un contesto in cui la distinzione tra campo della libertà religiosa, che è libertà anche per i salafiti, e tutela delle libertà civili non è chiaro. A nome di chi ha sentenziato il giudice che ha condannato un ragazzo e una ragazza per un bacio in pubblico considerato troppo lascivo? (Lo si vedrà forse al processo d’appello). Per le strade le donne col velo integrale continuano a essere molto poche, confinate in alcune banlieue considerate roccaforte salafita.
L’aggressività di alcuni salafiti – o di alcuni giovani arrabbiati che hanno preso la bandiera nera come pretesto e simbolo della loro protesta – mette costantemente in imbarazzo il partito Nnadha al potere, che vorrebbe essere la nostra Dc alla musulmana, o la via turca di Erdogan. Per non parlare poi, del provocatorio attentato al mausoleo di Sidi Bou Said, nome del santo e del piccolo paese sul promontorio poco a Nord della Capitale, luogo d’incanto noto in tutto il mondo, paesino bianco e blu degli artisti e delle gite domenicali. In teoria le dottrine wahabite non accettano che vengano venerati dei santi, sia pure musulmani, perchè deve esistere solo Allah. Ma nessun gruppo salafita ha rivendicato l’incendio, che ha colpito il simbolo e il cuore di una delle località più prestigiose del paese. Condanna generale.
Acqua al mulino dei laici, che si chiamano piuttosto modernisti, e che attribuiscono in qualche modo alle correnti più religiose dell’area di Nnaadha la colpa di queste tensioni, e soprattutto la responsabilità di voltare la testa al passato più che al futuro. C’ è un un fatto nuovo nella politica e nella società tunisina , ed è la nascita e la crescita parallele di un uomo politico possibile candidato alla Presidenza quando si voterà (forse a ottobre) e del partito e fronte da lui messi in moto, Nidaa Tounes, appello della Tunisia. E’ un partito che si richiama al modello tunisino storico del padre dell’indipendenza Bourguiba, e quindi alla modernità, alla moderazione, al ruolo della scuola pubblica e delle istituzione civili, allo statuto della donna e al ceto medio.