Il numero chiuso può essere un utile mezzo per selezionare i più meritevoli e questo è necessario perché le università sono istituzioni di formazione che vanno riservate solo a chi è più bravo. Ma ci sono in Italia casi di restrizione mediante il numero chiuso che non sembrano seguire criteri di selezione meritocratici che permettono ampia discrezionalità alle commissioni di ammissione.
Voglio discutere del caso delle “Scuole di specializzazione medica”. La formazione medica specialistica è delegata in Italia alle Università attraverso le scuole di specializzazione che sono attivate, di solito, presso gli atenei sede di facoltà di Medicina e Chirurgia. L’accesso a tali scuole avviene mediante concorso locale dopo emanazione del relativo bando da parte del Miur che specifica le date del concorso e i posti da destinare alle singole scuole di specializzazione delle diverse università.
La graduatoria finale dei candidati è definita da tre voci: le due prove concorsuali e la valutazione di alcune voci curriculari. Le commissioni giudicatrici sono locali e costituite di solito dagli stessi professori che insegnano nelle scuole di specializzazione.
– La prima prova consiste nella risoluzione di 60 quesiti a risposta multipla su argomenti di medicina generale e argomenti specialistici. Tali quesiti sono però già noti a tutti i partecipanti; vengono difatti estratti da un archivio disponibile a tutti gli interessati e pubblicato sul sito del Miur. Tale prima prova (che vale 60 punti sui totali 100 a disposizione) si riduce ad un puro e semplice esercizio mnemonico perdendo gran parte del valore selettivo. Non sorprende che circa il 95% dei candidati totalizzi in questa prima prova il massimo dei punti.
– La seconda prova, o prova pratica, consiste in una prova scritta generalmente centrata su un caso clinico proposto dalla commissione. Sorprende però che a ciascun candidato venga assegnato un quesito clinico differente, con una conseguente non uniformità della difficoltà della prova.
– A definire la graduatoria finale concorre, per una quota max di 25 punti, anche il curriculum dello studente, valutato facendo riferimento ad alcune voci curriculari, tra le quali, le uniche che non sono suscettibili di “interferenze” sono il voto di laurea (fino a 7 punti) e i voti derivanti da 7 esami attinenti (max 5 punti). I rimanenti 13 punti derivano dalla valutazione della tesi di laurea, dalla valutazione di eventuali pubblicazioni e dalla valutazione di attività extracurriculari attinenti alla specializzazione.
Nell’attribuire i punteggi relativi alle suddette voci la commissione ha tuttavia molta libertà. Lo stesso accade spesso per la valutazione delle cd. attività didattiche elettive (può accadere che nello stesso concorso ad un concorrente la partecipazione al medesimo congresso venga valutato 1 e ad un altro 0,25) e nella valutazione delle pubblicazioni.
E’ molto basso il numero di laureati in medicina che provano a ad essere ammessi in una scuola di specializzazione di un ateneo diverso da quello proprio di origine. Gli “esterni” spesso subiscono valutazioni molto severe dei propri titoli.
In altri paesi come Francia e Spagna il reclutamento dei medici specialisti avviene con un concorso nazionale secondo criteri più oggettivi, e trasparenti.
E’ fondamentale allora ridurre la discrezionalità delle commissioni e rendere trasparenti i punteggi. Servono test che siano nuovi ogni anno; prove pratiche che siano uniformi per tutti i candidati; criteri condivisi dalla comunità scientifica per valutare i titoli, indici bibliometrici e impact factor ad esempio per le pubblicazioni e così via.