Sottosegretario alla Giustizia, nel suo trentennio è passato dal Msi ad An, fino a diventare berlusconiano di ferro. "Non faccio drammi, me l'aspettavo". Chi invece ci ha provato fino all'ultimo è la "donna ombra" di Antonio Di Pietro che però ha incassato il no di Ingroia: "Le liste sono fatte, non si cambia"
Quando entrò in parlamento lui a pochi scranni di distanza sedeva Giorgio Almirante. Dall’altro lato dell’aula, c’era ancora Enrico Berlinguer, fiero battagliero. Sulla poltrona di primo ministro c’era Bettino Craxi. Trent’anni sono passati. Otto legislature di fila sono tante, lo ammette lui stesso, Filippo Berselli, classe 1941, arrivato a Montecitorio nel 1983 tra le file del Movimento sociale italiano, eletto a nella rossa Bologna insieme ad altri due emiliani sconosciuti: Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini. Berlusconi sabato sera, nel rush finale per la redazione delle liste Pdl per le prossime elezioni lo ha tenuto fuori: ”Non è stato Berlusconi a tenermi fuori. Me lo aspettavo perché avevo una doppia incompatibilità: l’età e il numero delle legislature. Non è un fulmine a ciel sereno. Un po’ lo sapevo”.
Sarà un caso, ma la sua esclusione arriva pochi giorni dopo il polverone degli arresti di Parma, dove l’ex sindaco Pietro Vignali, il capogruppo Pdl in Regione Luigi Giuseppe Villani sono accusati di peculato e corruzione. Berselli, che non è indagato, è stato chiamato però in causa dal procuratore Gerardo Laguardia che lo accusa esplicitamente di aver tentato di ostacolare le indagini. Negli anni passati infatti il parlamentare presentò ben otto interrogazioni che chiedevano ispezioni sui magistrati parmigiani colpevoli di indagare solo sul centrodestra.
“Parma non c’entra niente”. Dall’altro lato della cornetta Berselli non si scompone, continua a masticare una noce, poi : “Sulla Procura di Parma avevo fatto delle interrogazioni senza mai entrare nel merito dei processi e delle contestazioni agli indagati. Alfano, da ministro della Giustizia non ha mai neppure risposto alle mie interrogazioni. Lo ha fatto solo il ministro Severino”
Poi il presidente della commissione giustizia al Senato attacca: “È disdicevole che un procuratore censuri l’attività ispettiva di un parlamentare. La macchina del fango per sputtanare il Pdl l’aveva messa in moto il procuratore capo stesso: in base a quale criterio tiri in ballo Alfano, Berlusconi, Ghedini, Letta?”. Nel merito delle accuse ai suoi compagni di partito però Berselli non entra: “Ci penserà Villani a spiegarsi. Giovedì farò una conferenza stampa dove illustrerò le mie passate interrogazioni chiarendo che non hanno mai affrontato il merito dei processi. E chiarirò anche che degli estratti conto del procuratore Laguardia trovati nei cassetti degli indagati io non so niente”.
I suoi 29 anni in parlamento Berselli li descrive bellissimi. Due volte sottosegretario, gli ultimi 5 anni li ha passati ad occuparsi di giustizia. Peccato che siano stati gli anni delle leggi ad personam per Berlusconi: ”Non c’entro niente, io sono sempre stato uno libero”. Berselli, che si avvicinò alla politica difendendo i ragazzi della estrema destra bolognese implicati nei procedimenti penali tra gli anni Settanta e Ottanta, non è un nostalgico del Ventennio, almeno non lo lascia trasparire. Nel 1994 fa levare dalla sede del Msi, ormai Alleanza nazionale, un’antica testa bronzea del Duce, custodita lì come una reliquia di un santo: ”Venitevela a prendere, qui non sappiamo che farcene”, urlò ai membri di una associazione di reduci di Salò.
Negli ultimi anni con il distacco di Gianfranco Fini dal Cavaliere e la nascita di Futuro e libertà, Berselli decide di stare dalla parte di Berlusconi: ”Fini era grande leader fino a che non è uscito dal Pdl. Forse pensava che la vecchia An lo avrebbe seguito, ma non è andata così. Oggi fa la stampella di Monti. Non una bella fine”. Lontani i tempi del cameratismo nella rossa e ostile Bologna: ”Una volta i rapporti con Gianfranco erano molto buoni, ma da quando è uscito dal Pdl non credo di averlo mai neppure più visto”
Fuori dalle liste non per motivi anagrafici, ma per problemi pendenti con la giustizia, anche un’altra parlamentare di spicco del panorama emiliano. Silvana Mura, ‘donna ombra’ di Antonio Di Pietro in parlamento, tesoriera dell’Italia dei Valori in Emilia Romagna, non è stata ricandidata da Antonio Ingroia nelle liste di Rivoluzione civile. Esclusa a causa di un’indagine della Procura di Massa Carrara che la vede indagata per falso, venerdì Sivana Mura era addirittura andata a deporre davanti ai pm toscani proprio per provare a chiarire la propria posizione e trovare in extremis un posto nelle liste.
Ma non c’è stato nulla da fare. In Emilia Romagna l’ex magistrato antimafia candiderà al secondo posto l’ex cinque stelle Giovanni Favia (capolista sarà invece lo stesso Ingroia) e al terzo posto da Antonio Di Pietro a da Ilaria Cucchi.