La notizia è quasi incredibile. Il Ministero per i Beni e le Attività culturali non si è costituito parte civile al processo napoletano per il saccheggio della Biblioteca dei Girolaminiche si è aperto pochi giorni fa, e che vede imputati l’ex direttore Marino Massimo De Caro (reo confesso, almeno in parte) e quattro dei suoi complici.
Non più tardi del 3 gennaio (quando il presidente Napolitano ha visitato la biblioteca devastata), il Mibac aveva ribadito la determinazione a costituirsi parte civile. Ma mentre il Comune di Napoli lo ha fatto davvero, del Ministero nessuna traccia: e ormai è tardi, l’errore è irreparabile. Ma si è trattato davvero di un errore? La versione del Mibac è quasi più incredibile della notizia stessa. Mercoledì è stato diramato un comunicato iperburocratico che contiene date e numeri di protocollo delle lettere che dimostrano come Lorenzo Ornaghi abbia in effetti disposto la costituzione. Ma la catena si ferma all’Avvocatura dello Stato: come a suggerire che ci sia stata un’omissione di quest’ultima. A voce, invece, si sussurra che è mancata la necessaria autorizzazione della Presidenza del Consiglio: che, in altre parole, tutto si sarebbe arenato negli uffici del sottosegretario Catricalà.
Insomma, il più classico e indecoroso scaricabarile italico: e senza che nessuna testa accenni a cadere.
A questo punto è legittimo credere che non si tratti solo di colpevole negligenza. De Caro ha amici potenti: è stato fino alla soglia del carcere uno dei più stretti collaboratori di Marcello Dell’Utri, il quale sta, peraltro, lentamente restituendo alcuni dei libri rubati ai Girolamini. Il curiale Ornaghi non ha detto in pubblico una mezza parola di riprovazione sul suo ex consigliere ladro e sui di lui mandanti: non ha mai risposto all’appello firmato da migliaia di cittadini, e non ha mai chiesto scusa per un “un piano criminale” (sono parole dell’ordinanza del Gip Francesca Ferri) reso possibile dalla “perdurante assenza di controllo e vigilanza da parte degli organi del Ministero a ciò deputati”. È dunque ben possibile che né Ornaghi né Catricalà (fedelissimo a Gianni Letta) abbiano avuto voglia di schierare il Ministero.
In alternativa, dobbiamo credere che un ministro della Repubblica non riesca a fare in modo che il suo ministero si costituisca contro un suo ex consigliere che ha perduto per sempre un bene preziosissimo. Ma quando Ornaghi ha nominato un suo giovane amico nel Consiglio d’amministrazione della Scala, quella pratica è andata subito in porto. Così come quella della nomina di Giovanna Melandri alla guida del Maxxi, per fare un altro esempio. E il solerte capo di gabinetto, Antonio Rasi Caldogno, non poteva seguire questa pratica con almeno un decimo dell’attenzione che ha dedicato alla sua stessa nomina nel consiglio di amministrazione della Biennale di Venezia? E visto che si parla di Avvocatura dello Stato, quando lo stesso Ornaghi ha deciso di chiedere i danni per diffamazione al sottoscritto e al ‘Fatto’ (quelli, cioè, che hanno denunciato per primi il saccheggio dei Girolamini), ebbene in quel caso la catena burocratica non si è per nulla interrotta.
Segno che, quando una cosa interessa, perfino al Mibac si riesce a farla. Se c’è una storia che ha colpito i media, anche internazionali, è questa: e mai come in questo caso l’immagine del Ministero è stata devastata. Possibile che non lo si capisca? Possibile che ora non si riesca a fare un comunicato stampa che invece di contenere un ermetico scaricabarile, provi a chiedere scusa dell’ennesimo errore, e assicuri i cittadini che una tutela pubblica esiste ancora? E, soprattutto, possibile che non si sia avvertita l’importanza simbolica ed educativa di una forte scelta di campo per la legalità e contro le deviazioni politiche e criminali del ministero stesso?