Trovare un normale interlocutore maschio, né genio né somaro, con cui avere un rapporto disinteressato e autentico, senza fare le mamme o le badanti: è questa l’ultima, sfrenata e inarrivabile utopia delle donne italiane. Stremate dalla delusione e soprattutto dalla titanica fatica di trovare un homo sapiens (ma pure solo homo), molte smettono di cercare l’anima gemella. Per decidere, magari, che metà del cielo può o deve bastare. “Ma che succede? Dove sono gli uomini, fisicamente e metaforicamente? Soprattutto, che cosa fanno? Perché sul palcoscenico ora sembra che ci siano soltanto donne?”: a chiederselo, in un libro che mette sotto accusa il silenzio anemico degli uomini di oggi, è lo scrittore-skipper-blogger Simone Perotti (“Dove sono gli uomini? Perché le donne sono rimaste sole“, edizioni Chiarelettere). Attraverso un sondaggio somministrato a cinquecento donne, l’autore ha raccolto convinzioni e paure nei confronti dell’(ex) sesso forte. “Una serata con un uomo? Tra sensi di colpa, fughe rocambolesche, ansie da prestazione, problemi di erezione, pianti a dirotto può trasformarsi in un vero incubo”, gli hanno confidato in molte.
Loro, le donne, affollano i corsi di vela, ma anche quelli di free climbing, cucina, yoga, gli studi degli psicoanalisti, le librerie, i cinema, le officine e i negozi di bricolage. “Con un coraggio e una forza che mai forse avevano avuto prima, coprono tutto il campo, con passione ed entusiasmo, malgrado i problemi, anche enormi, ancora discriminate e oggetto di violenza”, scrive Perotti. Loro, gli uomini, sembrano abitare un non luogo, fatto di alienazione e stanchezza: afoni, chiusi, rassegnati, «stanchi prima ancora di aver iniziato a fare qualsiasi cosa». Nelle parole del protagonista della fiction “Last man standing”: “Un tempo gli uomini costruivano le città per raderle al suolo, mentre oggi non sono neppure capaci di cambiare uno pneumatico”.
Leggi il capitolo “Inadatti al cambiamento”
Il succo sociologico di questa evoluzione-involuzione Perotti la spiega così: le identità di un tempo (uomo-che-porta-a-casa-la-pagnotta, donna-che-cura-i bambini) sono cambiate. Mentre però le donne hanno colto al volo le opportunità di questa trasformazione – prima buttandosi sulla carriera, poi decidendo che c’era vita anche fuori dal lavoro, tra impegni creativi e relazioni sociali – gli uomini sono rimasti ancora lì. Aggrappati a un ruolo che non c’è più. Impauriti, fragili, in crisi sul lavoro e nella vita privata, eppure incapaci di riconoscere le proprie difficoltà e magari chiedere aiuto. Per questo restano in ufficio ore e ore, e quando escono lo fanno per affollare un campetto sportivo tutto al maschile, frequentare un locale per soli uomini o andare in rete a cercare avventure. Magari nascosti sotto un’identità fittizia.
“O vanno a puttane oppure sono gay”: il vecchio, trito stereotipo sembra amaramente corrispondere sempre più al vero. E allora “sono davvero condannate alla solitudine le donne che hanno un progetto in cui credere?”. La risposta è negativa solo se si sceglie la strada del compromesso, quello che le donne, a volte con rabbia, a volte con ironica saggezza, cercano di mettere in pratica: alcune diventano bisessuali per necessità; altre si accontentano di un uomo condiviso con altre, senza però la malinconia delle amanti di un tempo; altre ancora, al contrario, scelgono una poligamia che non riversi troppe aspettative su uno solo; altre infine – le cougar – scelgono ragazzi più giovani, soprattutto perché più romantici. Quasi tutte, in attesa della tanto invocata rivoluzione maschile, si consolano con dei giocattoli erotici ( “è raro trovare una donna tra i trenta e i quarant’anni, e forse anche oltre, che non abbia il vibratore”). Un modo per archiviare non solo l’invidia del pene, ma soprattutto l’indicibile e frustrante fatica di cercarlo.