La quarta sezione penale della Corte d’Appello di Roma ha espresso parere favorevole per  l’estradizione verso la Spagna di Lander Fernandez Arrida, 32enne basco accusato di aver dato fuoco a un autobus nel 2002 a Bilbao, nel quadro di un insieme di azioni dimostrative di strada. Se la Cassazione confermerà e se la decisione politica sarà quella di estradarlo, Lander sarà consegnato al tribunale dell’“Audiencia National”: secondo molti osservatori internazionali. negli interrogatori di coloro che sono accusati di collegamenti o complicità con l’Eta il rischio di maltrattamenti o tortura è reale. Una storia che fa luce su un “buco nero” del diritto spagnolo: la detenzione “incommunicada”. E di cui l’Italia  rischia di rendersi complice.

Le motivazioni della Corte non sono ancora note, ma molte circostanze lo erano da tempo. Per inquadrare il “caso Lander” nella sua gravità e complessità è necessario un passo indietro. Il fatto, anzitutto. Nel 2002 Lander ha poco più di vent’anni, simpatizza con un movimento che si chiama “Kale Barroka” (“violenza di strada”). Il 20 febbraio di quell’anno, nel corso di una serie di azioni dimostrative, lancia una bottiglia incendiaria contro un autobus vuoto e in sosta, incendiandolo. “Kale Barroka” per alcuni non è nemmeno un movimento, ma un semplice slogan. Ma il fatto avviene in un periodo in cui l’Eta si fa sentire e questo basta all’Audiencia National – il tribunale speciale che ha sede a Madrid – a stabilire che ci sia “contiguità” con l’organizzazione terroristica basca.

Inizia così un lavorìo di pressione e di forzatura del caso – a tratti parossistico – dove la qualificazione del reato può giocare un ruolo decisivo. Perché per estradare Lander da un paese, l’Italia, dove il reato di danneggiamento è già prescritto è necessario dimostrare l’aggravante “terroristica”. Un compito assai tortuoso, che spiazza in prima battuta gli stessi magistrati italiani, specie quando leggono sul verbale delle autorità di polizia basche che “l’azione non ha prodotto alcun tipo di rischio per la vita o l’integrità fisica di nessuna persona”.  Dimostrare i rapporti con l’Eta è ancora più arduo, il gesto non l’ha mai rivendicato nessuno. E se i colleghi spagnoli non forniscono ulteriori elementi probatori, la magistratura italiana prende tempo.

La controversia giuridica, o meglio, l’accanirsi a dimostrare un “danneggiamento terroristico”, mette a nudo un problema, affatto secondario, che vede la Spagna al confine tra la lo Stato di diritto e la pre-modernità. L’Audiencia National è un caso unico in Europa, soprattutto per la sua possibilità di autorizzare la detenzione “incommunicada”, cioè senza possibilità di accesso ad avvocato o allo stesso magistrato, in termini di rischio di violazioni dei diritti umani. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) ha fortemente criticato questa possibilità più volte per l’implicito rischio di violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo che vieta  “trattamenti inumani e degradanti”; ha pubblicato alcuni report in cui si denunciano le pratiche di “incappucciamento” dei detenuti e altri trattamenti “assolutamente inaccettabili”.

La procedura della “incommunicion” prevede un lasso di tempo di 5 giorni (estendibile in vari modi fino a 13) in cui lo Stato priva i cittadini detenuti della possibilità di far sapere ai familiari dove si trovano, di contattare un avvocato o un medico di fiducia. Nemmeno con il giudice possono stabilire un contatto, finché non avranno fatto la loro “declaracion”. In condizioni che evocano, stando alle testimonianze, storie che si tende a credere archiviate. Non è casuale che la stessa accusa contro Lander Fernandez prenda le mosse da un caso di tortura (riportato in suo Rapporto dall’allora Rapporteur delle Nazioni Unite sulla tortura, Theo Van Boven, nel 2005): quello dell’amico e coimputato di Lander, Aingero Cardano, che ritratterà la sua declaracion non appena arriverà di fronte al giudice.

Nel 2012, invece, la Spagna viene condannata dalla Corte di Strasburgo per la terza volta: Martxelo Otamendi – ex direttore dell’unico giornale in lingua basca, arrestato assieme ad altri nove colleghi – aveva denunciato i soprusi della Guardia civile durante la sua detenzione incommunicada e gli ispettori hanno rilevato che, al di là delle apparenze, non si è svolta nessuna indagine convincente. Ad ampliare la mole di documentazione di violazioni commesse in regime di “incommunicacion”, oltre a quella prodotta dagli organismi internazionali di controllo, si è aggiunta la documentazione prodotta da Amnesty International, Human Rights Watch, dagli Avvocati democratici europei e così via: tutti insistono sull’insostenibilità, in un’Europa che si vuole moderna, di un interregno così denso di ombre.

Ma le denunce sono credibili? Gli esperti dicono che all’Audiencia National hanno lavorato – e lavorano – magistrati eccellenti. Ma quando sono accusati di tortura gli spagnoli ribattono sempre la stessa cosa: le denunce di tortura sono “preconfezionate” dall’Eta per screditare lo Stato. Può darsi, ma finché non ci sarà la trasparenza necessaria la Spagna non sembra nella posizione per validare questa affermazione.

In Italia il caso era noto. Un gruppo di giuristi e intellettuali tra i più in vista in Italia aveva scritto una lettera aperta al Ministro della Giustizia Paola Severino perché si opponesse all’estradizione. Giuristi del calibro di Luigi Ferrajoli, nomi storici dell’impegno a difesa dei diritti come Manconi, Palma, Gonnella e poi intellettuali come Gallino, Rossanda, Pardi, gli avvocati di Antigone e di Giuristi Democratici. E molti altri. I radicali, scesi in piazza con Sel e la Fds hanno anche prodotto un dossier, oltre le interrogazioni promosse in Parlamento. 

di Ranieri Salvadorini

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