L’accusa è così stupida e strampalata, che non bisognerebbe neppure perdere tempo ad argomentarne l’idiozia (fare la first lady è più che un lavoro a tempo pieno).
Non ne parleremmo, quindi, se non fosse che questi ragionamenti danneggiano la battaglia di tutte le donne che con le unghie e i denti cercano di conciliare vita privata e vita pubblica, famiglia e lavoro, figli e carriera. Un equilibrismo difficile e sempre instabile, come sanno tutte le madri lavoratrici. E le mogli e le compagne di ogni ordine e grado.
Quindi queste geniali attiviste dei diritti delle donne lanciano un messaggio che viene percepito proprio come l’opposto del messaggio lanciato. “Ah, vedi, anche Michelle ha lasciato il lavoro per stare dietro la marito” è ciò che rimane nella testa delle persone. E’ un precedente, una scusa per chi è tentata dall’idea di mollare, un esempio per chi invece spinge le donne verso la casa piuttosto che verso il mondo del lavoro
Sono sottigliezze, direte voi. Ma il diavolo si nasconde sempre nei particolari e la scala dell’emancipazione è stata fatta di gradini piccoli piccoli, non di grandi sbalzi.
Al contrario delle stupide accuse delle femministe bianche (le nere, pare, sono invece molto fiere di lei) Michelle Obama è il chiaro esempio che non sempre dietro un grande uomo c’è una grande donna. Lei è una grande donna a prescindere da lui. Lo era prima, lo è ora, lo tornerà ad essere tra quattro anni, alla fine del mandato elettorale.
“Le mogli di” sono un’altra cosa. E anche le donne che lasciano il lavoro per stare dietro al marito, categoria perdente che nella maggioranza dei casi se ne pente amaramente. Purtroppo quando è ormai troppo tardi.
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