Non ho resistito: mi sono guardato la puntata di Servizio pubblico in cui ospite unico era Silvio Berlusconi, e pure gli spezzoni della sua intervista a Euronews. Per puro caso, negli stessi giorni ho visto il Dvd del film scritto e interpretato da Sacha Baron Coehn “The dictator”. In particolare, tre le special features, le interviste (finte, ovviamente) a Baron Coehn “dittatore di Wadiya” sono drammaticamente simili a quelle della nostra tv (vera!), con l’intervistato che devia le domande – già edulcorate – e si autoincensa, dimentico dell’assurdità delle proprie affermazioni. Trovate voi la differenza tra Berlusconi che ricusa le iniziative del governo Monti, da lui appoggiato, e il dittatore che rifiuta di ammettere problemi di diritti umani in quanto… lui stesso è presidente del comitato per i diritti umani di Wadiya!
Certo, si possono trovare altri riferimenti cinematografici per confortarci con un “così fan tutti”; per esempio “Mr Smith goes to Washington“, di Frank Capra, annata 1939. E’ la storia di un giovane idealista, leader di un movimento giovanile, che viene piazzato nel Senato americano con il compito implicito di non fare domande scomode. Quando però, per un caso, mette i piedi in un affare sporco ma redditizio di alcuni imprenditori che controllano le pedine politiche a Washington, il povero neo-senatore viene sottoposto al trattamento Boffo ante litteram. I media dell’epoca erano ovviamente limitati alla carta stampata e alla radio (entrambe controllate (almeno localmente) dall’imprenditore in questione – ricorda qualcosa?). Solo che, anziché arrendersi e abbandonare i suoi ideali per un “compromesso”, Mr. Smith prende la parola al Senato e, sfruttando una regola che garantisce il diritto di parola illimitato purché non si sieda o lasci l’aula, la tiene fino allo sfinimento – e fino a convincere un altro senatore a pentirsi e sputare il rospo.
Perché vi racconto questo film (bellissimo, tra l’altro, e vincitore di un Oscar)? Perché, durante il monologo berlusconiano da Santoro in cui il procedimento di formazione di una legge nei due rami del Parlamento veniva descritto con fastidio e disprezzo, come se il dibattito parlamentare fosse un’inutile perdita di tempo o, peggio, un rallentamento di decisioni già prese, ho sentito fortemente la mancanza di qualcuno, in studio o magari tra il pubblico, che reagisse e spiegasse che no, non è così, anzi è proprio il contrario; che una democrazia si regge sui dibattiti tra parlamentari eletti, sull’equilibrio tra i poteri, sul rispetto di regole condivise. Ho sentito la mancanza di qualcuno che, all’ennesimo riferimento alle modifiche costituzionali come panacea, prendesse la parola per leggere tutti i testi fondamentali su cui si basano le democrazie moderne, senza interrompersi fino allo sfinimento.
Certo, non siamo a Hollywood e non c’è il lieto fine. Tra l’altro, non è detto che si troverebbe il senatore, o deputato, capace di riscoprire la legge morale dentro di lui e spezzare il sistema. Al giorno d’oggi, si direbbe, tutto si compra.
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