L'ex vicepresidente Villani e il consigliere Buzzi in manette per l'inchiesta Public Money costringono l'azienda a rinnovare il cda: 2 i miliardi di debiti, e i comuni di Reggio Emilia e Piacenza vogliono tornare all'acqua pubblica. Garantiti comunque alti dividendi agli azionisti per il 2013
Il Pdl parmense affonda tra scandali, inchieste e arresti, ma non è il solo. Ad andarci di mezzo è anche Iren, multiutility a controllo pubblico che tra i propri amministratori annoverava Luigi Villani e Angelo Buzzi. Entrambi agli arresti domiciliari, i due sulle poltrone del consiglio di amministrazione di Iren e Iren Emilia non siederanno più. Buzzi è stato silurato direttamente dalla società, mentre Villani, l’uomo che guadagnava più di Obama e che in consiglio regionale dichiarava a testa alta e in aperto conflitto d’interessi di votare “come manager Iren e come consigliere Pdl”, ha rassegnato le proprie dimissioni. Proprio mentre il presidente della società Andrea Viero, convocato il cda per poi scioglierlo ed eleggerne uno nuovo.
Il merito dell’inchiesta Pubblic Money è stato quello di scoperchiare un sistema di potere e malaffare che, questa la ricostruzione dei pm, ha usato Iren come una sorta di bancomat elettorale, cassaforte alimentata con soldi pubblici da cui succhiare quattrini per finanziare illecitamente la campagna elettorale dell’allora assessore Vignali. Non ci sono solo le inchieste della magistratura: a pesare sulle spalle di Iren, gigante dai piedi d’argilla, un debito di oltre due miliardi e mezzo di euro. Quello che da tempo denunciano i Comitati Acqua Bene Comune è infatti l’utilizzo di Iren come bancomat per rimpinguare le casse dei Comuni azionisti. Una pratica legittima che, unita a precedenti operazioni finanziarie non felici, ha però fatto esplodere il debito. Per questo c’è chi già vede la società sull’orlo del fallimento. “O poco ci manca”, ha spiegato Luca Martinelli, membro del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. In realtà l’amministratore delegato di Iren, Andrea Viero, impegnato in questi giorni nella difesa dell’immagine societaria macchiata dall’inchiesta Public Money – “siamo parte lesa” – ha avviato una difficilissima opera di risanamento finanziario, vendendo attività non più interessanti dal punto di vista industriale e utilizzando i soldi ricavati per ridurre il debito che a fine 2012 toccava i 2.600 milioni di euro.
E’ anche per soddisfare le necessità finanziarie di Comuni sempre più affamati dai tagli dei trasferimenti statali e da vincoli draconiani di bilancio che Iren, terza multiutility italiana con radici in Emilia e a Torino e Genova, anche quest’anno e nonostante il debito pare voler garantire importanti dividenti a tutti gli azionisti. Si parla già di oltre 70 milioni di euro che faranno la felicità degli enti locali. Poi c’è la questione della vendita del 49% di Iren Ambiente (la società che controlla anche gli inceneritori di Parma e Piacenza) al fondo privato F2i di Vito Gamberale, manager di lungo corso che da Sip è passato ad Autostrade, e ora si trova a capo del più grande fondo chiuso italiano. Azionisti di F2i sono Merril Lynch, Unicredit e le principali fondazioni bancarie italiane compresa Intesa San Paolo e la Cassa depositi e prestiti, controllata al 70 dal Ministero dell’economia e al 30% dalle fondazioni.
Assieme a F2i, Iren è reduce dall’acquisto a prezzo scontato del contestatissimo inceneritore di Gerbido, di proprietà di un Municipio, quello di Torino, schiacciato da centinaia di milioni di debiti. “Dentro il fondo F2i che assieme a Iren ha comprato l’inceneritore – spiega Marco Bersani di Attac – c’è anche Cassa deposito e prestiti, in pratica 225 miliardi di risparmi degli italiani raccolti con i libretti postali o i buoni fruttiferi che vengono usati non per fini pubblici ma per fare business, e in questo momento quello dell’incenerimento è uno dei business più grandi”. “Quello che sta succedendo è un passaggio di valore verso i privati, ma solo nei settori redditizi come quello dei rifiuti – racconta Matteo Olivieri , consigliere comunale del Movimento 5 Stelle a Reggio Emilia – Quando si parla invece di mercati concorrenziali e meno ricchi guarda caso le banche lasciano il rischio agli azionisti pubblici”.
All’orizzonte per Iren potrebbe esserci la perdita dei contratti di gestione del ciclo idrico a Reggio e Piacenza, dove le amministrazioni locali hanno già annunciato di volerne ripubblicizzare così la gestione. Mentre Reggio e Piacenza provano a rispettare l’esito referendario, la giunta di Parma, guidata dal sindaco Pizzarotti, deve affrontare 800 milioni di debito pregresso. L’idea è quella di dare in pegno alle banche azioni Iren per un totale di 26 milioni di euro. Dopo due anni, e comunque non prima del giugno 2015, la possibile riscossione. Un modo per procedere nella ristrutturazione del debito e per permettere a Stt, holding che si occupa di riqualificazione urbana e opere infrastrutturali per il Comune, di finire i lavori in corso e poi, nel caso, chiudere i battenti. Dure le critiche dei sindacati a un’operazione che la Giunta vede come indispensabile: “La mancanza di un ruolo pubblico di controllo e di sviluppo dei cicli integrati come l’acqua, il gas, l’energia elettrica e i rifiuti – scrivono Cgil, Cisl e Uil – rischia di penalizzare la qualità dei servizi, oltre a compromettere i livelli occupazionali, in un contesto generale di grande difficoltà economica e sociale”.