Allo studio un'imposta calcolata direttamente sul numero di internauti, per compensare l'utilizzo dei dati personali di ogni utente da parte di motori di ricerca, social network, siti di e-commerce. Anche l'Ocse in campo, sull'antievasione
François Hollande, per le tasse (e per risanare il deficit pubblico), non risparmia nessuno. Neanche Google e compagnia. A Parigi, in effetti, si profila l’introduzione di una tassa sul web. Già è in corso la polemica fra Google e i giornali e i siti d’informazione francesi, che reclamano soldi in cambio della riproduzione dei loro articoli da parte del gruppo americano. Ma qui si va decisamente oltre. Cioè verso un’imposta calcolata direttamente sul numero di internauti, per compensare l’utilizzo da parte di motori di ricerca, social network, siti di e-commerce e così via dei dati personali di ogni utente, rivenduti o comunque sfruttati per fini commerciali. Intanto, anche l’Ocse sta scendendo in campo con misure anti-evasione: nel mirino ancora loro, i big della rete.
La tassa ad hoc per i gruppi di internet (che sarebbe una première a livello europeo) è consigliata da uno studio che era stato commissionato la scorsa estate dallo stesso Hollande a due esperti fiscali, Pierre Collin e Nicolas Colin. E che è stato consegnato all’Eliseo venerdì scorso. Il rapporto (la bellezza di 198 pagine) punta il dito sull’utilizzo dei “dati di navigazione, che hanno fatto la fortuna dei giganti di internet”. Nel documento vengono citati direttamente Google, Amazon, Facebook, ma pure Apple “che da tempo mette a disposizione le preferenze dei suoi clienti ai produttori di app”. A tutti, secondo Collin e Colin, dovrebbe essere imposta una tassa, calcolata sulla base del numero di internauti raggiunti, controllato non solo sulla base di quanto dichiarato da ogni singolo gruppo, ma anche da parte di controlli di società esterne.
Sembra proprio che il rapporto non dovrebbe restare lettera morta, perché la proposta di una tassa sul web ha subito trovato consenziente Fleur Pellerin, ministro dell’Economia digitale. “I dati dei cittadini francesi ed europei – ha sottolineato – sono sfruttati a loro insaputa, anche oltreoceano. E permettono di realizzare centinaia di milioni di profitti ai giganti del web. Non possiamo lasciarci saccheggiare in eterno”. La tassa, in realtà, almeno per la Francia, è già in preparazione e dovrebbe essere inserita, con il beneplacito di Hollande, nella finanziaria 2014. Per Parigi, comunque, si tratta di una battaglia da condurre anche a livello internazionale. “Vogliamo assicurare che l’Europa – ha precisato la Pellerin – non diventi un paradiso fiscale per un ristretto numero di colossi di internet”.
In effetti Hollande vuole inserire nell’agenda del prossimo vertice dei Paesi del G20, in programma il 15-16 febbraio, la questione della fiscalità di internet e presentare le conclusioni e i consigli del rapporto Collin-Colin, inclusa la proposta della tassa sul web. Secondo il quotidiano Le Figaro, anche l’Ocse in quell’occasione presenterà proposte concrete per evitare quella che viene definita “l’ottimizzazione fiscale” cui fanno ricorso i big americani della rete in Europa, ossia il mancato pagamento delle tasse sui loro profitti, mediante sotterfugi di vario tipo, dalla creazione di una holding in Lussemburgo al trasferimento dei ricavi verso consenzienti paradisi fiscali come le isole Bermuda.
Basti, da questo punto di vista, solo l’esempio di Google, che in Europa realizza più di 30 miliardi di euro di ricavi pubblicitari, 1,5-2 dei quali si stima vengano generati in Francia. Ma che in questo Paese non paga neanche un euro di tasse. E molto pochi altrove. Fra le proposte che dovrebbero essere presentate dall’Ocse al vertice del G20, aggiuntive rispetto a quelle francesi, ve ne sarebbero, secondo Le Figaro, due di particolare interesse: la prima consisterebbe nel divieto di utilizzare scatole vuote, cioè società che non hanno alcuna attività fisica e che vengono sfruttate solo per trasferire i profitti verso Paesi clementi dal punto di vista fiscale. E la seconda sarebbe quella di mettere fine alle società ibride, che possono avere una doppia nazionalità fiscale: per gli Usa, ad esempio, Google Europa è una società irlandese, ma per Dublino ha invece la sua sede legale a Bermuda. Sono tutti escamotage legali, frutto del lavoro di consulenti internazionali profumatamente pagati. Nuove norme, però, potrebbero impedirli.
Finora, non solo in Francia, ma anche in altri Paesi, compresi la Germania e la stessa Italia, al centro della querelle (e solo contro Google) vi era l’utilizzo, gratis, dei contenuti giornalistici da parte del motore di ricerca. Secondo voci che circolano a Parigi negli ultimi giorni (ma già smentite dal gruppo), Google avrebbe proposto agli editori francesi di giornali e siti d’informazione il pagamento di 50 milioni di euro forfettari all’anno. Insomma, la Francia, che si era messa in testa nella rivolta contro “Google news”, sembrerebbe raccogliere i primi frutti. Sotto il predecessore di Hollande, Nicolas Sarkozy, era stata prospettata anche la possibilità di una tassa sulla pubblicità sul web, che però non si era concretizzata. Ora, invece, la nuova tassa all’orizzonte. Anche qui Parigi, reduce dalla stroncatura della patrimoniale, si mette a capo della fronda contro i big della Rete. Tutti, praticamente, made in Usa.