Guardando “Le Iene” il 20 gennaio, abbiamo conosciuto la storia di Sara, ventiquattrenne veneta malata di anoressia, arrivata a pesare 25 kg e suicidatasi dopo essere scappata per la seconda volta dall’ospedale, dove era ricoverata in trattamento sanitario obbligatorio.
Quello che colpisce è l’approccio televisivo alla vicenda della giovane. In un lungo servizio di 26 minuti, la iena Nadia Toffa è riuscita a raccontare con umanità e partecipazione emotiva i vari passaggi della storia. Ha avvicinato Sara, ha tentato di aiutarla e di capire le dinamiche psicologiche l’avevano portata a ridursi in quello stato. Non è servito a nulla, direte, visto che la fine è stata la peggiore possibile. Giusto, l’impegno social-televisivo delle Iene non è servito a nulla, o almeno non a Sara, che si è tolta la vita ingerendo della soda caustica. Ma almeno, e non è poco in questo Paese e in questa televisione, il tentativo fallito di aiutare una ragazza malata si è trasformato in una cruda e forte testimonianza, in un racconto che è un cazzotto in pieno viso al quieto vivere di molti di noi.
Quello scricciolo con i capelli radi e i denti consumati dal vomito, prima di morire ha tracciato un perfetto spaccato di cosa rappresenta quella malattia, delle conseguenze nefaste che provoca, della difficoltà di reagire, anche volendo, a un meccanismo innescato e che supera la volontà e l’istinto di autoconservazione.
La redazione delle Iene, dopo la morte di Sara, aveva deciso di non mandare in onda il servizio, di chiudere quella pagina dolorosa senza trasformarla in testimonianza. Hanno cambiato idea, per fortuna, e ci hanno permesso di fare i conti con la storia di una donna come tante, schiacciata dal peso delle proprie paure.
Ieri sera, mentre guardando il servizio, si era combattuti tra l’umanissimo fastidio di fronte a quelle immagini e il dolore per come si è conclusa la vicenda. Alla fine, con gli occhi lucidi e il cuore pesante, si sente comunque il desiderio di ringraziare chi ha deciso di mandare in onda il servizio. Perché la tv, che viene criticata (e giustamente) ogni tre per due, ogni tanto riesce almeno a raccontare i drammi veri della quotidianità, quelli che si consumano lontano dai riflettori e che spesso, troppo spesso, coinvolgono le donne. Non ci si scordi di Sara, per favore. Si faccia in modo che la sua storia serva a qualcosa. E la tv, tra un talk urlato e un reality sguaiato, continui a fotografare la carne viva di una società in difficoltà. Anche se fa male agli occhi. Anche se provoca turbamento. Anche se si vorrebbe far finta di nulla.