Cronaca

Appalti, posti di lavoro, consenso e voti: ecco come la ‘ndrangheta governa Milano

Il panorama a tinte fosche dipinto dalle inchieste della direzione distrettuale antimafia milanese ora trova conferma nella relazione sulla Lombardia della commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, presentato ieri a Palazzo Marino

I tentacoli della ‘ndrangheta si allungano sulla Lombardia. Nella regione più produttiva d’Italia la criminalità calabrese, grazie al monopolio del movimento terra, è di fatto presente in tutti i cantieri, sia pubblici che privati. Un potere che si traduce in consenso sociale e, quindi, in controllo di voti e relazioni con i politici locali. Mentre dal punto di vista economico la conseguenza è una sola: il mercato viene falsato e le imprese oneste vengono escluse dai lavori. Un panorama a tinte fosche già dipinto dalle inchieste della direzione distrettuale antimafia di Milano, che ora trova conferma nella relazione sulla Lombardia della commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, presentato il 21 gennaio a Palazzo Marino.

Aggiudicarsi un appalto vuol dire avere disposizione posti di lavoro e quindi controllo sociale. E questo, spiega Gaetano Pecorella, presidente della commissione e deputato che di recente ha preso le distanze dal Pdl, “può interessare qualche politico 
a livello locale. E i colori politici c’entrano poco”. Per controllare il settore del movimento terra, l’attività di base di ogni cantiere, dalla costruzione di una villetta alle grandi infrastrutture, la ‘ndrangheta può contare in Lombardia sulla presenza di un vero e proprio esercito di “padroncini calabresi”. Nella relazione, che ha per relatori i senatori Gennaro Coronella (Pdl) e Daniela Mazzuconi (Pd), si legge che tali padroncini costituiscono “un serbatoio pressoché inesauribile, cui attingere a piene mani per il controllo dell’intero settore e, per altro verso, forniscono alla ‘ndrangheta un altrettanto notevole serbatoio di voti da far valere al momento opportuno nei rapporti con la classe politica”. Insomma, dal movimento terra ai palazzi del potere il salto è breve. Tra i casi citati dalla commissione c’è quello del gruppo Locatelli, attivo nel cantiere dell’autostrada Bre.Be.Mi., che oltre ai rapporti con il clan Paparo, vantava relazioni con le istituzioni ai più alti livelli, arrivando persino a Franco Nicoli Cristiani, vice presidente del consiglio regionale sino al momento dell’arresto.

Ma lo straripare della ‘ndrnagheta in Lombardia non ha solo conseguenza a livello politico. A pagarne gravi conseguenze è anche l’ambiente. Continua la relazione: “L’infiltrazione mafiosa nel movimento terra, con il controllo dei camion e dei mezzi utilizzati in tale settore, consente anche il controllo del traffico dei rifiuti pericolosi”. E qui i clan fanno affari senza rispettare le regole e le norme per il corretto smaltimento. Un dato su tutti: dal 2001 a oggi ben il 10 per cento delle inchieste italiane sul traffico illecito dei rifiuti riguardano la provincia di Milano. Su questo business, secondo la commissione, la criminalità riesce a guadagnare due volte: “Non smaltisce veramente i rifiuti, ma incassa il relativo corrispettivo con documenti falsi per attività non concretamente svolte, e poi utilizza gli stessi rifiuti come materiale di riporto, inerte, per realizzare opere pubbliche o private”.

Non vanno inoltre trascurate le conseguenze economiche di un sistema criminoso che mina le basi del libero mercato: “La cosa più grave – denuncia Pecorella – 
è che gli imprenditori, per motivi di profitto,
 accettano questa situazione. E chi non la accetta, si trova di
 fronte a una concorrenza sleale”. Le imprese che adottano sistemi illeciti, infatti, sono in grado di abbattere i costi, grazie all’utilizzo di manodopera senza contratti regolari e allo smaltimento irregolare dei rifiuti provenienti dal movimento terra. Oppure grazie al metodo utilizzato per finanziarsi: “Un’azienda onesta chiede in banca un prestito, su cui poi deve pagare gli interessi – spiega Pecorella – . Le imprese mafiose, invece, sfruttano i ricavi delle attività illecite, come il traffico di droga”. Un vantaggio competitivo che agli altri impone una scelta: accettare il sistema per ragioni economiche o essere tagliati fuori dal mercato.

Ora la vera sfida si chiama Expo 2015. Secondo la commissione, “nella fase iniziale dei lavori non ha funzionato l’attività amministrativa di prevenzione, volta a impedire l’intervento subdolo e indiretto della ‘ndrangheta nelle opere”. Ma Pecorella dà atto al sindaco di Milano Giuliano Pisapia di avere avviato un nuovo corso rispetto alla precedente amministrazione. E di essersi mosso nella giusta direzione, visto che il protocollo di legalità per Expo 2015 prevede “sanzioni economiche, cioè la perdita 
di appalti, per coloro che diano subappalti nelle mani delle associazioni mafiose”.

twitter: @gigi_gno