La guerra della Francia in Mali avanza e sembra che l’Italia offrirà un sostegno logistico, per ora si parla solo di una ventina di uomini. Quindi il nuovo Parlamento, fresco di elezioni, dovrà decidere se continuare, aumentare o far cessare del tutto l’appoggio alle truppe francesi.
Come prevedono in tanti, i probabili vincitori delle prossime elezioni, sondaggi alla mano, saranno il Partito Democratico di Bersani e Sinistra Ecologia e Libertà di Nichi Vendola. Ogni possibile decisone sull’appoggio militare causerà malumori e non pochi cannoneggiamenti tra le due fazioni alleate. Il paese non resterà con le braccia conserte, migliaia di nuove bandiere arcobaleno saranno affisse ai davanzali di mezza Italia, i talk show sfioreranno la rissa, orde di manifestanti riempiranno le piazze. Il dibattito si concluderà – come ha già fatto sapere Bersani – a colpi di maggioranza.
Pd e Sel riuniranno gli eletti di Senato e Parlamento è la questione sarà messa ai voti con la scontata vittoria di chi in passato ha già avvallato l’intervento in Kosovo dato che possiede il maggior numero di teste. L’importante sarà giungere ad una decisone unanime che non faccia cadere, per l’ennesima volta, il governo di centrosinistra. Nulla di nuovo sotto il sole, il paradosso in politica è già stato teorizzato in passato da Jean Antoine Caritat di Condorcet al quale si deve il famoso “paradosso di Condorcet”. Di cosa si tratta? Può capitare che il vincitore di una competizione elettorale non rappresenti la maggioranza assoluta degli elettori, un esempio in tal senso è rappresentato da una qualsiasi elezione se si mette in conto il numero delle astensioni. Ciò significa, a grandi linee, che se a votare andrà solo il 50% dell’elettorato, il vincitore che totalizza il 51% dei voti (e vince la competizione elettorale) non rappresenta la metà più uno del paese, ma solo il 26%. La maggioranza del paese sarà quindi formata da chi si è opposto al vincitore e da chi non lo ha votato restandosene a casa. Insomma, una minoranza al governo.
Lo stesso principio non è poi molto diverso da quello adottato da Bersani. Prima del voto, per vincere, ha bisogno del 4% di Sel. A cose fatte, indossati gli allori del trionfo, il gioco cambia. Sel non è più l’artefice della vittoria, non è più quella che ha portato a casa gli ultimi e indispensabili consensi necessari per arrivare in cima, ma è diventata un “partitino” che vale una manciata di miseri voti. Loro, i democratici, a conti fatti, sono molti di più. Sicché ridurranno Sel ad una minoranza dissenziente ed inerme della maggioranza governante e faranno quello che vogliono compreso appoggiare militarmente una guerra.
Ricordo che una volta, quando ero capogruppo dei Verdi, mi ritrovai a discutere con il mio equivalente dei Ds in merito ad una decisione che ritenevo ingiusta. Illustrai pacatamente le mie ragioni per più di mezz’ora. Lui convenne che non aveva alcuna obiezione con la quale confutare la mia tesi: “Ti vorrei raccontare una storia” – mi disse – “nel cimitero di Tombston, celebre località dove si svolse la famosa sfida all‘O.K. Corral, c’è una grande lapide con inciso questo epitaffio: era un brav’uomo, aveva ragione, ma noi eravamo di più e l’abbiamo impiccato”
In pratica le dinamiche interne al centrosinistra, così facendo, tendono a ridursi alla strategia del “cooptare e annientare”: un gioco di prestigio dove il prestigiatore, finito lo spettacolo, mette arrosto la colomba per la cena.