“Camera dei Deputati o Senato?”. “Non lo so questo…”. Il 2 gennaio 2007, il sottosegretario della Regione Calabria, Alberto Sarra, aveva risposto così a Giulio Lampada, ritenuto un braccio economico della cosca Condello di Archi. I due erano insieme a Milano, inconsapevoli che il Ros aveva piazzato le microspie nella Mercedes di Giulio Lampada, il personaggio chiave di un filone di un’inchiesta della Dda di Reggio proseguita poi dai magistrati di Milano che, nel novembre 2011, hanno arrestato tra gli altri il giudice Vincenzo Giglio.

Sarra oggi è uno dei tanti impresentabili candidati alla Camera. Guida, infatti, la lista “Grande sud” collegata a quella del Popolo della libertà. Nel 1995 era stato denunciato per millantato credito, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, usurpazione di titoli o di onori. Nel 1997 è stato indagato per abuso d’ufficio per poi essere prosciolto nel 2000. Nel 2004 è stato raggiunto da un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa, violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario. Nel 2005 è stato denunciato per corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio nell’inchiesta Poseidone. Negli anni successivi è finito un’altra volta sotto inchiesta per mafia nell’ambito di un’indagine archiviata dall’ex procuratore di Reggio, Giuseppe Pignatone, oggi capo della Procura di Roma.

“Con un simile quadro – avevano scritto i magistrati di Milano – ci si aspetterebbe che nessuno possa neppure pensare di intraprendere o proseguire una carriera nella gestione della cosa pubblica. Evidentemente si tratta di aspettativa ingenua”. Già perché Sarra viene descritto nelle carte dell’inchiesta sui Lampada come un “esponente politico appartenente alla ormai disciolta Alleanza Nazionale, con elevata visibilità a livello locale e che può vantare incarichi ‘utili’ per qualsiasi consorteria mafiosa. Di Sarra”, continuano i magistrati, “abbiamo già sentito parlare nella indagine Caposaldo, quando Paolo Martino (boss detenuto della cosca De Stefano) esprimeva giudizi poco lusinghieri sul personaggio e sui suoi coinvolgimenti con esponenti mafiosi. Sarra ha anche altra particolare caratteristica. All’epoca della consiliatura regionale aveva come capo struttura il commercialista Giovanni Zumbo». Quest’ultimo non è altro che la talpa, con il pallino dei Servizi segreti, arrestata nell’operazione “Crimine” perché informava i boss della ‘ndrangheta circa le indagini delle Dda di Reggio e Milano.

Ritornando ad Alberto Sarra, i magistrati di Milano non hanno dubbi quando scrivono che il politico calabrese e aspirante deputato “costituisce uno dei terminali di Lampada. I due pianificano operazioni finanziarie per decine di milioni di euro; operazioni in cui l’uno deve mettere la propria capacità imprenditoriale e l’altro le conoscenze in grado di aprire porte di banche ed enti pubblici”.

Certamente i carichi pendenti e il casellario giudiziario di Giovanni Bilardi sono puliti. Ma il coordinatore del movimento “Scopelliti presidente”, oggi candidato al Senato al primo posto nella lista “Grande Sud”, vanta parentele e frequentazioni poco raccomandabili. In particolare, il consigliere regionale è zio di Ettore Bilardi che in termini di reati, nella vita, non si è fatto mancare nulla. Il congiunto del politico è stato “segnalato in banca per guida senza patente, danneggiamento, fabbricazione o detenzione di materie esplodenti, contravvenzioni, estorsione, porto abusivo e detenzione armi, favoreggiamento, associazione per delinquere, semilibertà del condannato, evasione, libertà controllata, produzione, spaccio e detenzione oltre la modica quantità di sostanze stupefacenti”.

Con gli anni la carriera criminale dello zio Ettore ha fatto salti da gigante, “incorrendo in specifiche e gravi violazioni di legge di carattere associativo e di natura mafiosa, come omicidio in concorso, detenzione abusiva di armi, associazione di tipo mafioso, evasione, danneggiamento, estorsione ed altro”. Più volte latitante, secondo gli investigatori è stato prima “al servizio dell’autorevole cosca Tripodo“, poi “emigrata” a Fondi in provincia di Latina, poi di “altre, altrettanto potenti e radicate, operanti nell’area nord di questa città”.

Al festival degli impresentabili, in Calabria, partecipa anche l’Udc di Casini che, alla Camera in sostegno a Mario Monti, inserisce in lista l’ex presidente della Provincia di Vibo Valentia Gaetano Ottavio Bruni, che era stato indagato per l’alluvione del 3 luglio 2006 che causò tre morti.Ex sottosegretario di Agazio Loiero, Bruni aveva lasciato la giunta regionale di centrosinistra dopo lo scandalo che travolse la figlia Francesca, trovata di notte nell’appartamento in cui si nascondeva il latitante della ‘ndrangheta Francesco Fortuna di Sant’Onofrio, elemento di spicco della cosca Bonavota. Sul piano amministrativo, infine, il candidato dell’Udc (quale presidente della Provincia di Vibo) era stato rinviato a giudizio dalla Corte dei Conti, per un danno erariale di 753mila euro accumulato grazie alle consulenze e alle collaborazioni esterne. Oggi, anche lui, aspira a diventare deputato.

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