Prima la conquista del capoluogo rosso nel '98, poi gli scandali, gli arresti eccellenti e le sconfitte elettorali, il partito di Silvio Berlusconi ridotto al lumicino salta un giro: "Hanno deciso tutto da Roma, nemmeno un nome in posizione utile per entrare alla Camera o al Senato"
Il Pdl di Parma “si cosparge il capo di cenere” e salta un giro, quello più importante, per Roma. Dopo i tempi d’oro dei quindici anni al governo della città ducale e poi la caduta agli inferi con gli scandali di tangenti e corruzione, nella terra di Verdi e capitale della Food Valley il partito di Silvio Berlusconi arranca e fatica a risorgere dalle sue ceneri. Alle elezioni di febbraio dalla città ducale che nel 1998 gli azzurri strapparono alla storica egemonia “rossa”, trasformandola a propria immagine e somiglianza, non ci sarà nemmeno un candidato per il Parlamento a raccogliere l’eredità dell’ex ministro Pietro Lunardi. Lo conferma il coordinatore provinciale e consigliere di minoranza Paolo Buzzi: “Da Roma non ho sentito nulla, hanno fatto tutto da là – spiega – Da Parma e credo anche da Piacenza, non ci sarà nessuno, almeno non in posizioni utili per arrivare in Parlamento”.
Dopo l’ascesa e il declino, l’ultimo colpo al partito locale lo hanno assestato gli arresti dell’ultima inchiesta della Procura di Parma, che tra gli altri ha portato ai domiciliari il numero uno del Pdl in Regione Luigi Giuseppe Villani e l’ex sindaco Pietro Vignali. Ad aggravare la posizione di Villani c’è poi il ritrovamento nei cassetti della sua scrivania degli estratti conto bancari del procuratore capo Gerardo Laguardia. Al gip il capogruppo Pdl ha detto di averli trovati in posta in una busta anonima e di non averli utilizzati, né di avere mai avuto l’intenzione di farlo per un’eventuale “macchina del fango”. Ma questo non basta a ripulire l’immagine del partito agli occhi degli elettori. Buzzi ha ribadito che non c’è alcun collegamento tra gli ultimi fatti che hanno interessato la città e il Pdl e la scelta di non mandare nessuno alla corsa al Parlamento: “La decisione era già presa da almeno quindici giorni, molto prima di quello che è accaduto” puntualizza il consigliere, così come aveva assicurato nei giorni scorsi anche il senatore Filippo Berselli, escluso dalle liste. Certo è però che l’inchiesta Public Money è un’altra doccia fredda proprio nel momento in cui i rappresentanti provinciali cercavano un modo per risollevare le sorti di un movimento spaccato all’interno e travolto dalle inchieste della magistratura, che negli ultimi anni nel territorio ducale hanno fatto piazza pulita di consensi.
All’indomani delle operazioni Green Money e Spot Money del 2011 che avevano portato all’arresto di funzionari del Comune e dell’assessore Pdl Giovanni Paolo Bernini, la solidità del gruppo locale era già compromessa e voci interne avevano mosso pesanti critiche alle modalità di agire tenute da chi era al governo in città. Tuttavia il Pdl aveva resistito fino alle dimissioni di Vignali, trovando il coraggio di tornare in campo con lo slogan “a testa alta” alle elezioni amministrative del maggio del 2012, proponendo la candidatura del neo coordinatore provinciale Buzzi. Negli elettori però era ancora vivo il ricordo delle proteste sotto i Portici del grano, quando i parmigiani chiedevano le dimissioni di una classe politica giudicata corrotta, che aveva speso i soldi pubblici in opere faraoniche ritenute inutili, svuotando le casse del Comune per un buco di quasi un miliardo. Il verdetto delle urne che ha incoronato sindaco il volto del Movimento 5 stelle Federico Pizzarotti, ha segnato anche la fine simbolica del governo di centrodestra retto dal Pdl, con le preferenze crollate a poco più del 4 per cento e un solo consigliere sui banchi dell’opposizione.
A sancire la battuta finale d’arresto è stata nemmeno una settimana l’inchiesta Public Money che ha coinvolto il consigliere regionale Villani, ex coordinatore provinciale azzurro, da sempre punto di riferimento per il movimento locale, e l’ex sindaco Vignali, che secondo l’accusa insieme a lui decideva delle sorti di Parma macchiandosi dei reati di peculato e corruzione. Una ferita quasi mortale per il partito, che a fronte delle gravi accuse per uno dei suoi massimi esponenti, in città si è spaccato perfino sulle reazioni agli arresti. Il coordinamento provinciale ha firmato un documento di solidarietà per Villani a cui non tutti hanno aderito, e tra i “dissidenti” c’è anche un ex della giunta Vignali, l’allora assessore al Commercio Paolo Zoni. La richiesta delle voci fuori dal coro è quella di adottare una nuova linea, che prenda le distanze anche dal passato per non imbattersi in un ulteriore crollo elettorale. Un rischio e un problema che a Parma è stato risolto sul nascere: con l’astensione dalle candidature per la campagna elettorale.
Un rischio e un problema che a Parma è stato risolto sul nascere: con l’astensione da candidature forti per la campagna elettorale. Gli unici nomi che compaiono nelle liste regionali, il giorno della presentazione, sono quelli di due esponenti del consiglio provinciale: il capogruppo Gianluca Armellini (alla nona posizione in Senato) e per la Camera il consigliere Simone Orlandini, (14esimo), insieme a Laura Schianchi (25esimo posto) e a Cinzia Camorali (36esimo). Nomi che difficilmente, come già anticipato dal coordinatore provinciale Buzzi, riusciranno a salire sul treno per Roma. Tanto che alla fine, a liste già presentate, uno di loro si è già ritirato.
Armellini infatti, dopo aver saputo di essere al nono posto per il Senato, ha fatto un passo indietro. “Nessuna pretesa e nessuna protesta – ha chiarito – avevo dato la mia disponibilità a una eventuale candidatura, condizionata dalla possibilità di un posizionamento in lista, se non certo, potenzialmente eleggibile in rappresentanza del nostro territorio. Stessa cosa hanno fatto anche altri”. L’intento del capogruppo Pdl in Provincia era quello di dare anche al territorio parmense una rappresentanza di centrodestra in grado di sostenere concretamente a livello nazionale la realtà ducale che, a suo avviso, negli ultimi anni è stata trascurata dalla Regione, dai deputati di sinistra, e anche dallo stesso Lunardi, che “da ministro per Parma ha fatto tanto, ma da deputato si è visto poco nel territorio”. Per questo, quando è stato informato della bassa posizione nella lista del Senato, la decisione è stata quella di non presentarsi affatto.