Il procuratore brasiliano agisce per conto di squadre latinoamericane e africane, i cui vivai sono depredati dalle società europee senza che questi paghino ai club di provenienza l’indennità di compensazione. Ma il governo del calcio mondiale lo accusa di aver utilizzato Facebook e non canali ufficiali
Come il Django di Quentin Tarantino, anche il procuratore brasiliano Paulo Teixeira racconta di essere diventato un cacciatore di taglie. Agisce per conto di squadre latinoamericane e africane, i cui settori giovanili sono depredati dai club europei senza che questi paghino ai club di provenienza l’indennità di compensazione per giovani calciatori (art. 20 del regolamento Fifa). Si mette alla ricerca di giovani pedatori in giro per l’Europa e cerca di ricostruirne la provenienza, poi se il club riesce ad ottenere l’indennità, lui ne ricava una percentuale. I casi aperti sono molti, dai più noti che riguardano i grandi club all’immenso sottobosco della tratta di baby calciatori. Tanto che oggi si stima ci siano almeno 20mila ragazzini sbarcati in Europa con la promessa di diventare stelle del pallone e finiti a vivere sotto i ponti, se non scomparsi del tutto. Una vera e propria tratta degli schiavi, già ampiamente documentata, su cui nessuno ai piani alti della Fifa pensa di intervenire.
“La cosa paradossale – spiega Teixeira a ilfattoquotidiano.it – è che io non ho nemmeno posto il problema della diaspora di ragazzini che spariscono nel nulla. Perché le cause per la mancata indennità di compensazione, di cui mi occupo, scattano solo quando il ragazzo diventa calciatore professionista e firma un regolare contratto. Ho invece chiesto alla Fifa il rispetto dei regolamenti a tutela dei club minori, anch’essi affiliati alla Fifa e pertanto degni di considerazione”. Ma anche qui, sembra che la Fifa preferisca non intervenire e lasciare che i grandi club la facciano da padrone. “E’ una questione di cultura – continua Teixeira – I club europei sono pronti a pagare decine di milioni per i trasferimenti, ma quando si tratta di pagare l’indennità di formazione alle squadre di paesi come Africa o Sud America diventa un problema”.
Racconta il caso dell’Anderlecht che, a fronte di un bilancio annuale di 300 milioni, si rifiuta di pagare un’indennità di 100mila euro per Kabanga Junior, sostenendo che il ragazzo ha firmato in patria un contratto con l’Aigles Verts (20 centesimi al mese) ed è quindi da considerare già professionista. Mentre un altro dei contenziosi aperti tra il cacciatore di taglie e i grandi club europei riguarda la richiesta del Botafogo di 300mila euro al Milan come indennità per la formazione di Sergio Ceregatti, passato prima da Ancona e oggi tornato in patria al Vasco Da Gama. Interpellate da ilfattoquotidiano.it, fonti interne alla società rossonera spiegano che il calciatore in realtà è stato al Botafogo solo alcuni mesi e che il Milan ha già pagato il dovuto: ovvero 60mila euro. E che solo in un secondo momento la squadra brasiliana ha avanzato un’ulteriore richiesta da 300mila euro, che il Milan non ritiene di dover pagare.
Teixeira invece risponde a ilfattoquotidiano.it di avere le prove che Ceregatti sia stato nelle giovanili del Botafogo per 4 anni, da quando ne aveva 12 fino al suo arrivo in Italia. E di averle trasmesse alla Fifa chiedendo che sia riconosciuto un giusto indennizzo come da regolamento. Il contenzioso è ancora aperto. “Il problema con l’Italia è quello della regola che da voi si chiama ‘primo tesseramento’. Per cui quando un ragazzo firma il primo contratto da professionista diventa ‘italiano’ per il regolamento sportivo, e si cancella ogni traccia del passato sportivo del calciatore – spiega Teixeira – C’è un’intera generazione di giovani brasiliani o africani che sono stati letteralmente strappati ancora minorenni dai loro club di provenienza, grazie al lavoro di oscuri faccendieri, per essere poi portati in Italia dove c’è questa strana regola”.
L’altro lato curioso della faccenda è che Teixeira ha deciso di usare i social network per condurre la sua indagine e per renderla pubblica, postando tutto sulla sua pagina Facebook. Perché, come racconta dalla sua casa di San Paolo, “ho tratto ispirazione dalla Primavera Araba, dove internet e i telefonini sono diventati i mezzi per chiamare a raccolta la gente e informare all’esterno su quello che stava accadendo”. Ma alla Fifa questo non è piaciuto e lo ha multato per oltre 8mila dollari e squalificato per due mesi. Non perché Teixeira abbia sbagliato nel merito, piuttosto per una questione di metodo. Come è scritto nella sentenza: “Mr. Teixeira potrebbe anche dire la verità, ma questo non lo autorizza a usare una piattaforma come Facebook per diffonderla“. Ma il cacciatore di taglie spiega che ha deciso di non arrendersi, e di volere continuare a combattere la sua battaglia tramite i social network.