Due cariche, una sul lato del corteo, insulti, manganellate, calci, lanci di oggetti, un paio di feriti lievi tra i manifestanti e tanta rabbia. Per il momento finisce così, dopo una trattativa infinita, la storia di Bartleby, spazio occupato bolognese chiuso all’alba da polizia e carabinieri. “Da lunedì 14 gennaio l’Ateneo è costretto a pagare le penali alla ditta appaltatrice che doveva iniziare da tempo i lavori – spiega il rettore Ivano Dionigi in un comunicato – Poi c’è il rischio di perdere quasi tre milioni di euro di finanziamenti europei”. Da qui lo sgombero dei locali occupati dal 2010: in forze carabinieri e polizia si sono presentati alle 7 di mattina, hanno bloccato le strade di accesso all’edificio e hanno provveduto a murare con mattoni e cemento le aule dell’università.
Gli attivisti, riunitisi alla spicciolata una volta appresa la notizia dello sgombero, hanno dato vita ad un corteo di centocinquanta persone. Al grido di “se ci sgomberano Bartleby, noi sgomberiamo l’università”, il corteo è entrato nel rettorato tentando di raggiungere gli uffici di Dionigi. Inutilmente, perché le porte erano sbarrate. “Dionigi esci fuori, fatti vedere, prenditi le tue responsabilità”. Qualche lancio di uova, insulti e cartelli che volano contro le sbarre. Poi il corteo riparte e punta direttamente verso Bartleby. “Abbiamo tutto il diritto di riprenderci il nostro spazio – urla uno studente al megafono – Questa è la dimostrazione che l’università alla trattativa preferisce l’uso della forza pubblica”. Con gli studenti anche una manciata di professori dell’Alma Mater. “Scriva scriva – dice un professore – mi chiamo Maurizio Matteuzzi e quello che è successo questa mattina è una follia”. “Oggi dovevano riunirci con i colleghi per capire come aiutare Bartleby – racconta una docente – Siamo arrivati tardi, ma ci faremo sentire. Non si risolvono così le cose”.
Poi il tentativo del corteo di forzare il cordone di poliziotti spingendo sugli scudi. Partono delle manganellate, vola qualche oggetto, ma lo schieramento resiste. Gli studenti ci riprovano. Questa volta intervengono anche una decina di carabinieri, che caricano di lato i manifestanti.“Così la finiscono”, urla un agente. Un’azione di alleggerimento, ma tanto basta per far sanguinare un paio di studenti, colpiti alla testa nella calca. Un’altra attivista viene manganellata sul braccio: “Non si era mai vista una cosa del genere – dice – volevano prenderci in mezzo”. Il corteo riparte, incontra lungo il tragitto i Land Rover dei Carabinieri che sembrano volere sbarrare la strada ai manifestanti. La tensioni sale di nuovo alle stelle. Qualcuno tira calci contro i mezzi, altri urlano. Poi la situazione torna alla normalità e gli studenti si dirigono in via Zamboni dove occupano un’aula a Lettere e Filosofia. “Oggi facciamo assemblea alle 19 – spiega Leonardo – Non resteremo certo senza casa”.
Quella di Bartleby è una storia iniziata a Bologna nel 2009, quando il ministro dell’istruzione era Mariastella Gelmini e gli studenti di tutta Italia protestavano contro la riforma dell’università. “Siamo nati da una una piega dell’Onda”, come amano dire gli attivisti del collettivo. Oggi l’epilogo, dopo una trattativa iniziata nel 2011. Nel suo comunicato il Rettore Dionigi fa presente come l’ateneo ha cercato “più volte una soluzione”, fino all’ultima offerta di uno spazio nella periferia bolognese, alle Roveri. Gli attivisti ribattono che la trattativa c’è stata, “ma ogni volta è saltata senza motivazioni plausibili. Avevamo detto sì a dei locali in via San Felice. Poi il Partito Democratico si è messo di traverso e l’ultima offerta è stata quella di mandarci a sei km dalla città, in piena periferia industriale – argomenta Michele – Dire sì avrebbe significato mettere fino al nostro progetto culturale e politico”.
Appresa la notizia degli scontri, dai banchi del consiglio comunale la Lega Nord esprime solidarietà al Rettore e bolla Bartleby come “antidemocratico e anticulturale”. Diversa la posizione del gruppo consiliare della lista Frascaroli-Sel-Verdi, che governa sotto le Due Torri assieme al Pd. “Non dico che bisogna legittimare solo chi occupa – spiega Cathy La Torre di Sel – ma quando chi pratica l’autogestione dimostra che può fare qualcosa di utile per la città non si può guardare dall’altra parte”. Poi la constatazione: “Sulla questione degli spazi abbiamo una visione differente da quella della giunta”.