Alla presentazione del documento programmatico 'Crescere si può, si deve', il presidente degli industriali Giorgio Squinzi ha presentato la ricetta dell'associazione per favorire la crescita "con un progetto di "ampio respiro, fatto di azioni, di rilancio economico e sociale del Paese, mobilitando 316 miliardi di euro in 5 anni
Ad inizio estate l’aveva definita “una vera boiata”. Oggi torna a criticarla, chiedendo al nuovo governo di modificarla sin dalla base. Giorgio Squinzi va all’attacco della riforma del lavoro voluta da Elsa Fornero e lo fa con parole impossibili da equivocare. “Dobbiamo rendere più flessibile il mercato del lavoro. La riforma Fornero non è stata sufficiente per una vera liberalizzazione” ha detto il presidente di Confindustria alla presentazione del documento programmatico Crescere si può, si deve. “Riteniamo che il prossimo governo – ha aggiunto Squinzi – debba arrivare a una formulazione più in linea con quanto è stato fatto nella maggior parte dei paesi europei”. La ricetta di Confindustria per uscire dalla crisi? “Voltare pagina” con un progetto di “ampio respiro, fatto di azioni, di rilancio economico e sociale del Paese, mobilitando 316 miliardi di euro in5 anni”. Non ha dubbi il numero uno degli industriali nel presentare il documento programmatico dell’associazione, che verrà girato ai partiti impegnati in campagna elettorale. “E’ un progetto che appare ambizioso – ha sottolineato Confindustria – perché veniamo da una lunga crisi di bassa crescita e di continui rinvii delle decisioni”. Dunque, quello che all’Italia serve, secondo Squinzi, “è una terapia d’urto” che “abbatta i costi e sostenga gli investimenti”.
Per far questo, la strada da seguire è obbligata, almeno a sentire Confindustria: “Il pagamento immediato di 48 miliardi di debiti commerciali accumulati da Stato ed enti locali; il taglio dell’8% del costo del lavoro; cancellare per tutti i settori l’Irap; lavorare 40 ore in più all’anno ma detassate e decontribuite; il taglio dell’Irpef sui redditi più bassi e l’aumento dei trasferimenti agli incapienti; aumento del 50% degli investimenti in infrastrutture; sostegno a ricerca e nuove tecnologie e taglio del costo dell’energia”. Un pacchetto, quindi, grazie al quale, secondo Confindustria, si potrà rilanciare la crescita economica italiana, “rendendo efficiente la burocrazia e tagliando e razionalizzando la spesa pubblica, dismettendo e privatizzando una parte del patrimonio pubblico, armonizzando gli oneri sociali, riordinando gli incentivi alle imprese, aumentando del 10% l’anno gli incassi dalla lotta all’evasione fiscale e armonizzando le aliquote ridotte Iva in vista di rimodulazione in ottica Ue e per reperire risorse destinate alla riduzione dell’Irpef sui redditi più bassi”.
Questa terapia dovrà essere accompagnata da un processo di riforme da avviare senza ritardo, per “cambiare il volto del Paese”. Per far ciò, è il parere di Confindustria, “abbiamo bisogno di un’Italia veramente liberale, creare quindi un nuovo contesto, riformando il Titolo V della Costituzione e riportare allo Stato le competenze di interesse nazionale, ridurre i livelli di governo, e organizzare la pubblica amministrazione, tutelare i cittadini e le imprese dagli abusi compiuto dagli organi pubblici, ridurre le regole e rimuovere tutti gli ostacoli al fare impresa, rendere flessibile il mercato del lavoro e ridurre il peso del fisco sulle imprese, migliorando i rapporti tra contribuenti e l’erario”.
Attraverso queste misure si otterranno effetti economici importanti. Che Confindustria ha elencato nelle sue stime: “Un innalzamento della crescita del Pil al 3% in cinque anni, un’espansione dell’occupazione di 1,8 milioni di unità, il peso dell’industria tornerà al 20% del valore aggiunto dell’intera economia, il reddito medio delle famiglie che vivono di lavoro dipendente nel 2018 sarà più alto di 3.980 euro reali, l’inflazione rimarrà attorno all’1,5% mentre la produttività aumenterà di quasi l’1% medio all’anno, infine il deficit pubblico diventerà un consistente surplus, il debito cadrà al 103,7% del Pil e la pressione fiscale scenderà dal 45,1% al 42,1% e le spese correnti al netto degli interessi caleranno dal 42,9% al 36,9%”.
E “se non si mette mano ad una svolta precisa – ha concluso Squinzi – ci sarà solo il declino e il futuro delle imprese e dei giovani sarà davvero proeccupante. Serve una terapia d’urto; è un imperativo categorico ma l’obiettivo è raggiungibile”.