Impossibile sottrarsi alla retorica quando si assiste ad avvenimenti sportivi di tale portata, che sconfinano nel fantastico. Sui siti dei maggiori quotidiani internazionali, anche negli Stati Uniti dove il calcio non è quasi mai coperto, i titoli sono tutti tra fairy tale e dreamland (favola e mondo dei sogni, ndr) per descrivere la leggendaria cavalcata del Bradford City: la squadra semi amatoriale della quarta divisione inglese che, dopo avere eliminato Wigan e Arsenal, ieri sera ha fatto fuori anche l’Aston Villa nel doppio confronto e si è qualificata per la finale di Coppa di Lega inglese. Perché, bisogna ammetterlo, qualsiasi sarà il risultato della finale il 24 febbraio a Wembley, dove il Bradford affronterà la vincente dell’altra semifinale tra Chelsea e Swansea, il solo fatto di essere arrivati a giocare nel tempio del calcio mondiale, per la piccola cittadina Bradford e per tutti gli appassionati è comunque il lieto fine di una fiaba che riconcilia con il calcio moderno.

Discreta squadra della periferia di Leeds, nel West Yorkshire, fino a poco più di dieci anni fa il Bradford City se la giocava in Premier League contro Liverpool e Manchester United. Nella stagione 2000-01 con la maglia dei Bantams giocò anche Benny Carbone, che ancora da queste parti ricordano volentieri nonostante proprio quell’anno la retrocessione segnò l’inizio della fine. Complice la crisi economica che ha messo in ginocchio l’intero territorio ex-industriale del nord dell’Inghilterra, infatti, nel nuovo millennio per le squadre dello Yorkshire sono cominciati i problemi. Come il fratello maggiore Leeds United, anche il Bradford è fallito sotto il peso dei debiti accumulati per rimanere in Premier League. Poi, finito in amministrazione controllata, ha cominciato la lunga discesa verso gli inferi delle serie minori.

E così oggi il Bradford, che nel suo palmares ha anche la conquista di una FA Cup nel lontano 1911, è una squadra semiamatoriale: nel club giocano ragazzi per cui il calcio è una passione, e spesso un secondo lavoro. L’intera squadra è stata costruita a costo zero, con l’eccezione del centravanti Hanson, pagato poco meno di 10mila euro, e che anche lui fino a due anni fa lavorava ancora tra gli scaffali di un supermarket locale. Mentre il giocatore più pagato è il difensore Davies, che guadagna 4.500 sterline la settimana: tre-quattro volte di meno quello che prende in un solo giorno un buon giocatore della Premier League. Perché se altrove è più facile trovare esempi di squadre della classe operaia che vanno in paradiso, come in Francia dove ancora si celebrano le strepitosa cavalcate del Calais nella coppa del 2000 e quella del Quevilly nel 2012, o in Spagna dove l’anno scorso il Mirandes dalla terza serie è arrivato in semifinale di Coppa del Re, in Inghilterra no.

Nella patria del calcio prima e del calcio moderno poi, figlio degli investimenti inflazionistici delle grandi corporation e pronipote delle televisioni a pagamento, è dal 1962 che una squadra dopolavorista di quarta serie, allora fu il Rochdale, non raggiunge la finale di Coppa di Lega. Mentre in Fa Cup non è mai successo. A squadre come Altrincham F.C. o Blyth Spartans è bastato arrivare ai quarti di finale per entrare nella leggenda. Per non parlare poi dell’Italia, dove la formula della Coppa Italia è studiata per favorire il percorso dei soli noti, abituati a spartirsi il bottino anche in campionato. Oggi però, proprio dall’Inghilterra arriva la lieta notizia: nel calcio esiste ancora un Davide capace di sgominare i prepotenti Golia. E l’intera cittadina di Bradford può cantare “We’re going to Wembley” e immaginare che un altro calcio sia ancora possibile. E noi con loro.

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