Qualche mese fa abbiamo incontrato a Taranto il ministro dell’ambiente Corrado Clini per parlare dell’Ilva. Era un incontro con le diverse associazioni e io chiesi al ministro come mai a Genova lui sostenne, per la stessa azienda e per le stesse problematiche inquinanti, la chiusura dell’area a caldo.
Per Genova infatti Clini affermò: “La chiusura dell’altoforno e della cokeria delle acciaierie è una questione urgente. Sul piano dei danni ambientali, dell’inquinamento e della salute dei cittadini siamo già in ritardo”. Dopo avergli letto testualmente queste parole di fronte alle massime autorità locali, Clini si limitò a dire che quello era un altro contesto e che non si potevano fare parallelismi.
Nella recentissima visita a Taranto (quella del 23 gennaio) ha sottolineato: “Non abbiamo un piano B se la Consulta dovesse dire che la legge 231 è incostituzionale”.
Ed eccoci di fronte ad una governo di “tecnici” che non trovano soluzioni tecniche alternative. Questi sono i tecnici dell’esistente. Gestiscono la realtà senza progettare le alternative.
Questi “tecnici” per me sono stati una grande delusione. Non sono migliori dei “politici”. In passato hanno scritto le relazioni tecniche per chi ha governato. Fanno sostanzialmente parte dello stesso mondo, hanno scritto gli allegati tecnici delle leggi. Ora sono sostenuti da un arco politico trasversale, loro ne hanno fornito il paravento tecnico. Hanno offerto una facciata tecnica a scelte sostanzialmente politiche. Non cercare (e quindi non trovare) alternative è una scelta politica. Perché non prospettare alternative per Ilva? Semplice: perché altrimenti dovrebbero tagliare le spese militari e ritirare il contingente dall’Afghanistan. Questo sarebbe il costo del “piano B”.
Ecco perché oggi tutti si aggrappano al solo “piano A”, quello della legge 231 che vorrebbe dare l’autorizzazione a continuare a produrre, nonostante l’ordinanza della Procura che, sulla base delle perizie, ha dichiarato pericolose le emissioni dell’Ilva per la salute dei cittadini e del lavoratori.
Cercherò qui di riportare le ragioni per cui la Procura ritiene pericolose le emissioni attuali.
Va prima di tutto precisato che gli attuali impianti sono gli stessi su cui è avvenuta la perizia dei tecnici della Procura. Non è cambiato nulla nelle tecnologie, quelle erano e quelle sono, nonostante la tanta proclamata AIA del 2012. Gli impianti dell’area a caldo (la stessa area a caldo che Clini ha voluto far chiudere a Genova) a Taranto sono caratterizzati da queste emissioni :
1 g/t è il valore minimo Bref (la prestazione con la migliore tecnologia)
69.6 g/t è il valore stimato dal gestore post-intervento AIA 2011
17,2 g/t è l’inquinamento massimo consentito dalle Bref
Ossia: le emissioni della cokeria dell’Ilva con l’AIA sarebbero circa 70 volte superiori a quanto consentirebbe la migliore tecnologia!
Queste sono le cose che Clini non dice ai giornalisti. E va constatato che la Regione Puglia di Nichi Vendola è stata concorde nel consentire queste emissioni approvando l’AIA del 2011.
La cosa ancor più grave è che la nuova AIA (e la stessa legge 231 che consente all’Ilva di continuare a produrre) non mette in crisi il dogma di fondo: l’autorizzazione della cokeria a 300 metri dal centro abitato. Mettere in dubbio questo dogma significa che l’Ilva deve comprare coke, riducendo i margini di profitto. Ma i dogmi vanno messi in dubbio e – come ai tempi di Galileo – la scienza smentisce il Potere.
Infatti una cokeria – anche se dotata di BAT recenti – non è in grado di scendere sotto 1 ng/m3 di benzo(a)pirene (inquinante cancerogeno e genotossico) nel raggio di 1700 metri, come ha documentato PeaceLink nelle proprie osservazioni presentate per l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Quel valore equivale per un bambino a respirare un quantitativo complessivo di benzo(a)pirene cancerogeno pari a 700 sigarette all’anno.
Le emissioni registrate dall’Arpa negli ultimi mesi indicano una riduzione delle concentrazioni di polveri e benzo(a)pirene, ma tutto questo è avvenuto in condizioni di stretta sorveglianza dei custodi giudiziari, di riduzione delle commesse e di veri e propri fermi. Un ritorno della produzione in condizioni di normalità sarebbe il ritorno a quanto già conosciamo.
Il vero problema è che per questa azienda fare profitto ha bisogno di marciare senza intralci. Il motto era: produrre, produrre, produrre. I premi di produzione erano legati ai ritmi che hanno fatto schizzare il benzo(a)pirene ai livelli che abbiamo conosciuto.
La cokeria a 300 metri dalle case – assieme ai parchi minerali a cielo aperto – sono la vera grande criticità dell’Ilva. In Europa ormai le cokerie sono allontanate dai centri abitati e su questo punto i tecnici si sono concentrati con appositi studi.
Molto chiari sono infatti i risultati degli studi riportati in Atmospheric Environment 43 (2009) 2070–2079. Lo studio è stato condotto da Diane Ciaparra (Corus Research, Development and Technology, UK), Eric Aries (Corus Research, Development and Technology, UK), Marie-Jo Booth (Corus Research, Development and Technology, UK), David R. Anderson (Corus Research, Development and Technology, UK), Susana Marta Almeida (ISQ, Portogallo), Stuart Harrad (Division of Environmental Health & Risk Management, Public Health Building, School of Geography, Earth & Environmental Sciences, University of Birmingham, UK).
A conferma del fattore “distanza” e delle criticità della cokeria di Taranto, c’è anche uno studio scientifico svolto a Genova che conferma quanto sopra asserito dai tecnici della Corus Research per il benzo(a)pirene. A Genova il “raggio di pericolo” sotto il quale il benzo(a)pirene non scendeva sotto al valore ddi concentrazione di 1 nanogrammo a metro cubo era 1900 metri.
Quando a Genova hanno chieso le cokerie “il benzo(a)pirene è diminuito fra il 92 e il 97%” ha documento il dott. Federico Valerio. E’ tutto documentato in questa ricerca scientifica: Se questo è vero per Genova è anche vero per Taranto, anzi è ancor più vero per Taranto, dato che la produzione di Genova è stata spostata all’Ilva di Taranto, dopo la chiusura dell’area a caldo di Genova.
Appare del tutto evidente che la Magistratura di Taranto ha ragioni tecniche da vendere e solo una classe di governo sorda, cieca e incompetente può andare avanti solo con il “piano A”, ignorando il peso di questi dati.
Particolarmente grave è la situazione del camino E312 dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva di Taranto che – benché abbia attirato l’attenzione per le emissioni di diossina – è attualmente fuori dalle BREF (le migliori tecnologie) per le polveri/orarie:
La differenza in massa delle polveri emesse tra i valori misurati e quelli di riferimento del BREF-BAT Conclusions della fase di processo Sinterizzazione sono:
Minimo Bref 3,4 kg/h
Misurato dal gestore Ilva 85,5 kg/h
Massimo Bref 51 kg/h
Come si vede le emissioni di polveri di quel camino (noto per emettere diossina) si attestano su quantitativi orari di polvere 25 volte superiori rispetto ai minimi emissivi consentiti con la migliore tecnologia.
Anche il sistema di depolverazione secondaria dei camini E 314 ed E 315 si pone anch’esso al di fuori delle BREF per le polveri:
55,57 kg/h misurato dal gestore Ilva
Massimo Bref 17 kg/h
Per l’altoforno le cose non vanno benissimo, in quanto le prestazioni si collocano nella fascia peggiore delle Bref:
Altoforno, fase processo di caricamento minimo Bref polveri 2,14 kg/h
misurato dal gestore 29,88 kg/h
massimo Bref 31,97 kg/h
Come si vede si potrebbero ottenere emissioni orarie 14 volte inferiori con la migliore tecnologia. E a 300 metri dalle abitazioni bisognerebbe utilizzare la migliore tecnologia. E magari allontanare gli altoforni. L’acciaieria a Taranto fu infatti clamorosamente costruita “al contrario”, con l’area a caldo vicina alle case e l’area a freddo lontana, mentre doveva essere fatto l’esatto opposto. Ma questa “inversione” dello schema non è stato minimamente preso in considerazione, perché invertire la collocazione spaziale degli impianti costerebbe troppo.
E così anche la fase di colaggio ghisa e loppa fornisce – non lontano dalle case – prestazioni che sono inaccettabili, se si fa riferimento all’art.8 del dlgs 59/2005 (ultilizzo delle migliori tecnologie in assoluto). Infatti:
minimo Bref 0,42 g/t di ghisa
misurato dal gestore Ilva 40,1 g/t
massimo Bref 41,95 g/t
In poche parole se venisse adottata la migliore tecnologia in assoluto, in questa fase produttiva avremmo una diminuzione delle emissioni orarie di 95 volte. Oggi le case degli abitanti del quartiere Tamburi (che sono state costruite prima e non dopo l’acciaieria) vengono invase da questi fumi.
Il ministro Clini chissà se ha mai dato un’occhiata – dato che è un “tecnico” – ai dati dell’acciaieria vera e propria, cioè a quegli impianti che i tecnici della Procura hanno criticato per le seguenti emissioni di polveri:
minimo Bref: 14 g/t di acciaio
massimo Bref: 143 g/t
stimato dal gestore Ilva post interventi AIA 2011: 218,68 g/t
In parole povere l’attuale valore di emissioni dell’acciaieria è ben 15 volte superiore a quello consentito dalla migliore tecnologia.
Ma la grande questione è quella dei grandi parchi minerali dell’Ilva che dovrebbero essere coperti “entro 36 mesi” (lo dice l’AIA 2012). Costo stimato: un miliardo di euro. Troppo. Gli esperti dell’AIA hanno dato tre anni di tempo per ragioni economiche. E un bambino che nasce oggi nel quartiere Tamburi dovrebbe respirare quelle polveri per i suoi primi tre anni?
Se le cose stanno così di che stiamo discutendo? Di che cosa viene accusata la Procura di Taranto?