Il complesso puzzle della Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra potrebbe arricchirsi di un nuovo tassello. Un tassello nero come il nome in codice di Paolo Bellini, l’ex esponente di Avanguardia Nazionale, esperto di opere d’arte, coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna e ribattezzato dai giornali semplicemente come “la Primula Nera”. È Bellini che il gup Piergiorgio Morosini ha deciso di ascoltare in una delle prossime udienze preliminari del processo sulla Trattativa. Questo perché tra il 1992 e il 1993 i contatti tra la Primula Nera ed esponenti di vertice di Cosa Nostra sono costanti. Mentre il dialogo tra alcuni pezzi delle istituzioni e la mafia va avanti, Totò Riina, tramite Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Gioè, mantiene un canale di comunicazione aperto con Bellini.
Prende vita una sorta di Trattativa parallela in cui Bellini avrebbe sondato le capacità di Cosa Nostra nel recupero di opere d’arte scomparse e trafugate. I boss invece avrebbero proseguito lo stesso obiettivo che diventa poi uno degli oggetti principali della trattativa con le istituzioni: l’alleggerimento del carcere duro per i detenuti. Sarebbe stato lo stesso Bellini “l’ispiratore indiretto” degli attentati al patrimonio artistico italiano che nel 1993 videro Cosa Nostra piazzare bombe a Firenze, Roma e Milano. Ma chi era Bellini? E in nome di chi dialogava con Cosa Nostra? Nino Gioè, uno dei boia di Capaci, si portò questo dubbio nella tomba, quando poco prima di suicidarsi in carcere fece cenno ai rapporti con la Primula Nera: “Supponendo che il signor Bellini fosse un infiltrato” scrisse nella sua lettera testamento.
Che Bellini abbia lavorato a contatto con gli ambienti dei servizi è un ipotesi che spesso è stata formulata sul conto dell’ex esponente di Avanguardia Nazionale, scappato in Brasile negli anni ’90, e poi arrestato nel 1999. Da detenuto ha iniziato a collaborare con la magistratura raccontando anche i particolari sull’omicidio del militante di Lotta Continua Alceste Campanile. Di nodi irrisolti sulle tante vite della Primula Nera, però, ne sono rimasti parecchi: il suo ruolo da mediatore con Cosa Nostra negli anni delle stragi è uno di questi. Per questo il gup Morosini vuole interrogarlo nella veste di imputato di reato connesso.
Il giudice dell’udienza preliminare ha accettato la richiesta di Calogero Mannino: l’ex ministro della Democrazia Cristiana sarà giudicato col rito abbreviato, la sua posizione è stata stralciata, e il suo processo inizierà il 20 marzo. Prima di Mannino, anche la posizione di Bernardo Provenzano era stata stralciata per i problemi di salute del boss corleonese. Adesso Morosini dovrà decidere sugli eventuali rinvii a giudizio dei rimanenti dieci imputati, ma prima vuole allargare il quadro storico in cui si sarebbe suggellato il patto scellerato tra pezzi delle istituzioni e la mafia. Per questo a deporre è stato richiamato anche Giovanni Brusca, oggi collaboratore di giustizia e imputato nel processo sulla trattativa. Il boss di San Giuseppe Jato dovrà raccontare le varie fasi di evoluzione della strategia mafiosa durante tutto il periodo della trattativa con le istituzioni: dai mesi che precedono l’omicidio di Salvo Lima, fino a dopo la cattura di Riina, descrivendo anche i rapporti tra Cosa nostra e altre realtà criminali, di stampo non solo mafioso.
Nella sua integrazione probatoria Morosini ha anche intenzione di ascoltare una delle parti lese del procedimento, ovvero Gianni De Gennaro, che sarebbe stato calunniato da Massimo Ciancimino. Il sottosegretario di Mario Monti era al vertice della Dia tra la fine del 1991 e il 1994, lo stesso periodo in cui matura il dialogo a suon di bombe tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra. Dalla deposizione di De Gennaro, Morosini vuole capire quali informazioni fossero all’epoca nelle disponibilità della Dia sulla matrice delle stragi, le strategie e le dinamiche interne di Cosa nostra in quegli anni, ma soprattutto le piste investigative che furono seguite subito dopo le stragi. Agli atti del procedimento c’è infatti una relazione della Dia, che analizza in diretta e in maniera assolutamente lucida ciò che sta accadendo sullo sfondo delle stragi targate Cosa Nostra, facendo cenno anche ad una possibile trattativa.
“È derivata per i capi – si legge nel documento datato 10 agosto 1993 – l’esigenza di riaffermare il proprio ruolo e la propria capacità di direzione anche attraverso la progettazione e l’esecuzione di attentati in grado d’indurre le Istituzioni a una tacita trattativa”. Secondo gli analisti della Dia, il pericolo è che “l’eventuale revoca anche solo parziale dei decreti che dispongono l’applicazione dell’Art. 41 bis, potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe”. Proprio poche settimane dopo, nel novembre del 1993, l’allora guardasigilli Giovanni Conso lasciò scadere oltre trecento provvedimenti di carcere duro per importanti detenuti mafiosi. Una stranissima fatalità su cui ancora non si è fatta piena luce.