Il piano del Cavaliere è semplice: con il pareggio al Senato, provare a dialogare con D'Alema per ottenere un salvacondotto istituzionale in cambio dell'appoggio su un nome gradito come successore di Napolitano. Ma i sondaggi sono contrastanti
La partita si gioca sui sondaggi. O, meglio, dai sondaggi dipendono le strategie. Che per Silvio Berlusconi hanno un solo fine: fare un patto con chi vincerà le elezioni, quindi col Partito democratico. Obiettivo? Barattare una sorta di ‘salvacondotto’ istituzionale per mettere al sicuro le aziende e azzerare i suoi guai con la giustizia. Un disegno, quello del Cavaliere, che secondo la ricostruzione di Repubblica si sviluppa in tre mosse ‘preventive’: scommettere sul pareggio al Senato, provare ad aprire il dialogo con il centrosinistra e, dulcis in fundo, concordare il successore di Giorgio Napolitano, magari spingendo per un nome assai gradito ai democratici.
Per far sì che questo disegno non rimanga un retroscena pre-elettorale, tuttavia, occorre un risultato ben preciso alle urne, ovvero una sconfitta di misura degli azzurri, specie a Palazzo Madama. E in tal senso le proiezioni delle società di statistica sono tutt’altro che concordi. Almeno a sentire Silvio Berlusconi. Se uno studio effettuato nei giorni scorsi da Demos e pubblicato sempre sul quotidiano di Largo Fochetti parla di un Bersani e di un centrosinistra avanti di 12 punti sull’asse Pdl-Lega, i numeri in possesso dell’ex premier dicono altro. “Abbiamo altri sondaggi e la verità è che in poche settimane abbiamo fatto quasi un miracolo, recuperando punti. Ora c’è un margine inesistente al Senato ed è inferiore ai 5 punti alla Camera. Prevaliamo noi nelle principali regioni” ha detto nel suo intervento a La telefonata su Canale 5.
A sostegno dell’ottimismo del Cavaliere c’è un dato non di poco conto: il sondaggio di Demos è stato effettuato prima del deflagrare dello scandalo Mps, con conseguenze elettorali ancora non quantificabili in casa Pd. Ma di certo la vicenda si farà sentire nelle urne. Il che potrebbe allontanare l’alone di fantapolitica che avvolge la strategia di Silvio Berlusconi. Il quale ha già lanciato l’amo ‘del dialogo’. Verso quale interlocutore dell’altra sponda? Il quotidiano romano non ha dubbi: Massimo D’Alema, “l’unico con cui si può parlare”. Un’ipotesi tutta da verificare. Sia perché non è detto che il presidente del Copasir accetti, sia perché in caso di vittoria risicata del Pd al Senato sarebbe assai più probabile un accordo con Mario Monti e non con il Pdl.
Ciò non significa che Silvio non ci proverà. Come? Proponendo un nome vicino a D’Alema come successore a Napolitano. Chi? Anna Finocchiaro, ad esempio. Una soluzione che incontrerebbe il favore di tutti e darebbe il via ad una road map simile a quella del 1992, con Oscar Luigi Scalfaro prima eletto presidente di Montecitorio e successivamente fatto sedere al Quirinale col voto di tutti (il suo posto alla Camera venne preso da Napolitano). Domani il disegno potrebbe essere questo: con una sorta di pareggio al Senato, Anna Finocchiaro verrebbe nominata presidente di Palazzo Madama prima di passare al Quirinale, con Berlusconi sulla poltrona su cui oggi siede Renato Schifani. Oppure, ed è un’ipotesi certamente meno inverosimile, Berlusconi potrebbe spingere su altri due nomi ancor più graditi a via del Nazareno: Franco Marini e/o Giuliano Amato. E successivamente cercare di barattare una sorta di manuale Cencelli che spazi dalla Rai alle società pubbliche fino ad arrivare alla giustizia, il vero chiodo fisso del Cavaliere, che – repetita iuvant – punta sempre a ‘neutralizzare’ le sue pendenze con la giustizia. La manovra di corteggiamento è iniziata, tra molti contro (il risultato delle urne, le intenzioni di Bersani, la volontà di D’Alema e il peso che ancora conserva nel Pd) e un solo pro, che tuttavia ha dimensioni ancora impronosticabili: le ripercussioni politico-giudiziarie della vicenda Monte dei Paschi di Siena.