Il fiume Trebbia è un corso d’acqua di elevato valore ambientale: è in gran parte balneabile e in estate proprio le anse di San Salvatore, il luogo dove l’ingegner Friburgo ha proposto di riedificare la diga e la torretta in disuso fin dagli anni venti provocando le proteste ambientaliste, sono meta di turismo anche dalle province vicine. Per opporsi al progetto idroelettrico si è riunito un fronte che va da Legambiente ai pescatori ai canoisti, oltre al gruppo No Tube che da anni si occupa di combattere i progetti di dighe o derivazioni sui fiumi piacentini. I comitati hanno incontrato anche il presidente della provincia, Trespidi (Pdl), che si è detto contrario alla costruzione della centralina, così come alcuni sindaci della valle.
Nel 2008, in seguito alla presentazione di progetti simili, No Tube aveva ottenuto un voto all’unanimità che impegnava la provincia a vietare costruzione di manufatti idroelettrici nel greto del fiume Trebbia e altri torrenti. Tuttavia con il cambio della giunta, avvenuto nel 2009, i partiti di centrodestra hanno emendato il PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) togliendo il divieto per progetti di ricostruzione di manufatti storici. Un emendamento che sembra quasi ad hoc, dato che quello di San Salvatore è l’unico manufatto abbandonato che si presta a interventi di recupero. I comitati chiedono non solo di fermare i progetti esistenti, ma anche l’abbattimento del manufatto esistente e il ripristino delle condizioni originarie del fiume.
La Valutazione di impatto ambientale per questo tipo di opere non è più obbligatoria, dato che la legge Bersani ha reso molto più rapido l’iter per il cosiddetto miniidroelettrico. Tuttavia i proponenti hanno deciso volontariamente di sottoporvisi. Un problema, secondo Gian Marco Rancati di No Tube, che sostiene che questo progetto “tecnicamente non avrebbe alcuna possibilità di passare ma la valutazione di impatto ambientale potrebbe facilitare le cose per i costruttori”. Infatti se gli enti che decideranno non saranno unanimi nel respingere il progetto, la Via potrebbe passare per un parere alla presidenza del consiglio dei ministri, che raramente è negativo.
I comitati vogliono evitare che qualcuno “metta le mani sui meandri di San Salvatore, una delle poche zone d’Italia vincolate già dalla legge Galasso del 1985, e in base alla solita logica per cui una persona vede la possibilità di rendere economicamente appetibile un bene comune.” Non si tratta solo di effetti sulla natura e il turismo: “alzando lo sbarramento si peggiorerebbero gli effetti delle piene che potrebbero allagare i vigneti e i campi vicini. Per non parlare della strada d’accesso e dell’edificio nel greto del fiume, in un luogo che da anni si sta proponendo di inserire nella lista del patrimonio dell’umanità dell’Unesco”, come sottolinea Rancati.
Anche al consiglio regionale dell’Emilia Romagna verrà chiesta una risoluzione per respingere il progetto, non dando quindi la concessione per la derivazione delle acque. Nel frattempo comunque No Tube e le altre associazioni hanno lanciato una raccolta firme. Secondo Rancati “anche se comune di Bobbio e provincia non si sono ancora espressi, ci sono buone possibilità che gli enti locali si oppongano al progetto e la popolazione è fermamente contraria”.
Questa opera non servirebbe nemmeno per soddisfare le richieste degli agricoltori della pianura, che durante i periodi di siccità estiva faticano a prelevare dal fiume l’acqua necessaria per le coltivazioni più dispendiose in termini idrici, come il granoturco. Ogni anno gli agricoltori si scontrano con gli ambientalisti perché non viene rispettato il deflusso minimo vitale del fiume, che in pianura viene asciugato completamente. Proprio in questi giorni la Regione discuterà una ridefinizione degli accordi con Genova, che preleva da un importante affluente, il Brugneto, parte della sua acqua potabile.
Tuttavia la provincia e gli industriali piacentini continuano a sostenere la necessità di un invaso ben più imponente di quello proposto in questi giorni, che garantisca la fornitura d’acqua all’agricoltura. Opera che gli ambientalisti considerano distruttiva e che per i suoi costi e la durata dei lavori necessari (fino a quindici anni), chiude Rancati, “servirebbe più a chi la costruisce che non all’agricoltura”.