Venerdì pomeriggio, sede del Pdl di Napoli. Conferenza stampa dell’onorevole Francesco Nitto Palma, da poche ore nominato coordinatore campano degli azzurri dopo un lungo periodo da commissario. La grana dell’esclusione di Nicola Cosentino dalle liste è una ferita ancora aperta. I giornalisti accorrono a frotte per chiarimenti e approfondimenti.

La solita ressa, purtroppo. Dovuta alla circostanza che tra cronisti e cameramen si intrufolano tanti, troppi politici curiosi. Un collega de ‘Il Velino’, trattato in malo modo (“se vuole, se ne può andare”) gira i tacchi e abbandona. Troppa gente in piedi, troppe persone accalcate una sopra l’altra. Il giorno dopo gli arriveranno le scuse.

In questo bailamme un solerte addetto alla comunicazione di Nitto Palma, invece di preoccuparsi di provare a mettere un po’ d’ordine nel trambusto, si alza dal tavolo della conferenza, si avvicina al sottoscritto e mi sussurra all’orecchio: “Nitto Palma gradirebbe una domanda sulla composizione delle liste nel salernitano”. Mantengo la calma (il mio primo pensiero era diverso) e gli rispondo con educazione: “Lavoro per il Fatto Quotidiano e queste cose non le concordo, capisco il tuo lavoro”. Ma non lo apprezzo, penso tra me e me. La conversazione viene incisa dal registratore che per comodità durante le conferenze stampa tengo acceso nel taschino della giacca.

Alla fine discuto dell’accaduto con colleghi e colleghe. Tra noi apriamo un piccolo dibattito sul come e quando sia iniziata questa deriva di provare a farci fare le domande che vogliono loro, e non quelle che interessano a noi, ai lettori, ai telespettatori. Qualcuno con più esperienza di me racconta che la prassi sarebbe nata negli anni ’90 tramite gli spin doctor di un potentissimo politico napoletano del centrosinistra. Una prassi che ha attecchito bene, perché ormai di giornalisti che fanno domande scomode ce ne sono sempre meno.

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