“Li vedi questi soldi – dice uno degli arrestati, intercettato nella sede di CasaPound – ce li ha dati un camerata, uno che possiede una quarantina di pizzerie tra Napoli e provincia e ci ha dato un contributo, lui è miliardario e ci ha dato una cosa di soldi”. Quindi non sono né sfessati, né isolati, né innocui. Forse non c’è un pericolo neofascista in Italia. Ma è stupefacente che all’alba del 2013 questa ignoranza offensiva, volgare, violenta abbia tanta presa. Perché non abbiamo sviluppato gli anticorpi necessari – e parlo di conoscenza e consapevolezza – è quindi un interrogativo da non trascurare.
Liliana Segre è un’ebrea sopravvissuta prima ad Auschwitz e poi a umiliazioni come “le camere a gas non sono mai esistite”: è doveroso scusarsi con lei se il suo nome viene menzionato nello stesso articolo in cui compaiono tante dolorose menzogne. Mentre a Napoli i camerati venivano arrestati, lei – numero di “matricola” 75190 tatuato sull’avambraccio – a Milano raccontava l’inizio della deportazione, con l’arresto e il trasferimento nel carcere di San Vittore. Oggi ha 83 anni, ne aveva 13 quando arrivò nel lager: ha parlato di sé e di quello che ha visto con un’energia e un’indignazione commoventi. Del suo intervento, basta ricordare un passaggio: “Quando sono tornata da Auschwitz qualcuno ha avuto il coraggio di avvicinarmi e di chiedermi dov’ero ‘sparita’. Dicevano che loro non sapevano nulla, ma non è vero. Bastava così poco per sapere, per vedere”.
Dopo ci sono stati i libri, i film, le testimonianze dei pochi superstiti all’Olocausto: ebrei, rom, omosessuali, disabili, oppositori politici. Eppure non basta. Oggi è il giorno della memoria: le edificanti conversazioni dei camerati napoletani sono la dimostrazione che non è affatto una bandierina del politicamente corretto.
Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2013