Lo affermano i periti nominati dai pm di Macerata. Nel mirino dei magistrati i due medici sportivi, già indagati per omicidio colposo, che lasciarono giocare l'ex pallavolista, fino a quando il 24 marzo 2012 non sopraggiunse la crisi cardiaca che lo stroncò sul parquet marchigiano
Non avrebbe dovuto giocare. Il giorno che Vigor Bovolenta, giocatore di pallavolo, campione nazionale e internazionale, si è accasciato sul campo per una crisi cardiaca, non avrebbe nemmeno dovuto essere in campo. A dirlo le indagini della procura di Macerata che ora puntano il mirino contro i due medici sportivi, indagati per omicidio colposo. L’atleta soffriva di una coronaropatia aterosclerotica severa, una grave patologia al cuore che non gli avrebbe permesso di avere l’idoneità. I destinatari dell’avviso di chiusura delle indagini sono due medici di Forlì e Meldola, gli stessi che nel 2011 rilasciarono a Bovolenta i certificati di idoneità sportiva agonistica. Vigor Bovolenta non avrebbe mai dovuto scendere in campo, saltare o schiacciare, il suo cuore non era in grado di reggere quello sforzo. Lo affermano i periti Mariano Cingolani, Rino Froldi, Gian Piero Perna e Gaetano Thiene nominati dai pm Ernico Rastrelli e Andrea De Feis.
Il drammatico episodio avvenuto sui campi da gioco marchigiani, risale al 24 marzo 2012, quando nel corso di una partita di B2 tra il Volley Forlì e Lube Macerata, Vigor Bovolenta ha avuto la fatale crisi cardiaca. Il pubblico e i compagni di squadra quel giorno al palazzetto avevano visto il giocatore barcollare e poi cadere a terra all’improvviso. Solo 4 minuti, il tempo necessario per i soccorsi del 118 per arrivare sul posto, ma per il campione italiano non c’era stato più niente da fare. Non si sarebbe più ripreso.
La perizia medica scriveva che a ucciderla sarebbe stata una “trombosi dell’arteria coronarica discendente destra, trasformatasi in fibrillazione”. Niente avrebbe potuto salvarlo, se non un defibrillatore a bordo campo. Per questo a metà ottobre scorso, i familiari si erano detti pronti a chiedere i danni al palazzetto malamente attrezzato. Gli inquirenti però, hanno sottolineato come non fosse obbligatorio l’apparecchio e mettono in questione invece le responsabilità dei medici che hanno curato l’atleta e dato il via libera per la sua attività sportiva. Ora ci sono 20 giorni di tempo per gli indagati per chiedere di essere sentiti dai magistrati o presentare una memoria: perché quei certificati di idoneità? È la domanda che gira nella testa di molti, anche se la risposta potrebbero essere in molti ad averla. L’atleta già nell’annata 1997-1998 era stato costretto a fermarsi per un’aritmia cardiaca, poi scomparsa, permettendo alla società di farlo ritornare in campo a pieno ritmo.
Tanti i capitoli oscuri di una vicenda che potrebbe parlare di passione per uno sport, soldi e valore di un giocatore. 37 anni, ex centrale storico della Nazionale, Vigor era nato a Contarina in provincia di Rovigo il 30 maggio 1974. Comincia a raccogliere successi con la nazionale juniores nel 1992 quando diventa Campione d’Europa. L’esordio con la nazionale assoluta avviene con l’allenatore Julio Velasco: è il 3 maggio 1995, Bovolenta ha poco più di 21 anni e si gioca contro Cuba. Da lì non si è più fermato: 206 le partite in nazionale. Nel petto portava molte medaglie: l’argento olimpico nel 1996, la World Cup 1995, gli Europei 1995 e 1999 (argento nel 2001 e bronzo 1997), tre edizioni della World League 1995, 1997 e 1999. Chiude la sua carriera in nazionale giocando la sua seconda Olimpiade a Pechino 2008. Poi la carriera nei club: Ravenna, Ferrara, Roma, Palermo, Modena (campione d’Italia 2001-02), Piacenza, Perugia, Forlì.
A ricordarlo con dolore in questi mesi sono stati i compagni e i familiari, spesso una cosa sola per un giocatore che viveva sui campi di tutto il mondo. Alle Olimpiadi dell’agosto 2012, sul podio è salito anche il “Bovo”, come lo chiamavano negli spogliatoi: la nazionale maschile arrivata terza nella competizione olimpionica, ha infatti portato in trionfo la maglietta numero 16 dell’amico e compagno di tante battaglie. A tenere stretto il suo ricordo sono i quattro figli. Nell’amichevole in suo onore è stato uno di loro, Alessandro, con un maglietta lunga fino alle caviglie con scritto il nome del padre, a scendere in campo per fare una battuta. Ha commosso un intero palazzetto dello sport, ricordando che di passione per un gioco non si può morire, ma anche che se sei atleta di pallavolo hai una famiglia grande che ti ricorderà per sempre.