Il girovagare alla ricerca di un rifugio per dormire inizia al tramonto nella capitale. Ogni piccolo cantuccio vale oro. Il quotidiano degli homeless – sempre più numerosi, sempre più abbandonati – è una pratica che può costare la vita. Basta nulla, una fiamma che avvolge le coperte o il cartone usato per coprirsi, come forse è accaduto per i due giovani, probabilmente somali, senza fissa dimora, trovati carbonizzati a due passi dalla breccia di Porta Pia. “Io lì dentro non ci vado – racconta un anziano che ha costruito la sua casa sul marciapiede di Corso Italia – perché loro usano l’alcol per cucinare. Io in quell’inferno non entro”. In un piccolo tunnel abbandonato basta poco perché le fiamme ti uccidano, soprattutto se sopra di te non c’è nessuno che abbia a cuore la tua vita.
A meno di cinquanta metri dalla zona transennata e vigilata a vista d’occhio dagli agenti della Polizia di Stato, si potrebbe preparare il prossimo incendio. Non conosciamo ancora il volto delle vittime, se saranno anche loro dei giovani somali fuggiti alla guerra civile o, magari, un anziano rimasto senza casa, con una pensione infame calcolata a qualche centinaio di metri da qui, nella sede del ministero dell’economia di via XX Settembre. Le uscite di sicurezza – buie e fetide – dove la notte si rintanano gli homeless del salotto buono della capitale costeggiano le mura sfondate dai bersaglieri nella presa della Roma papalina. Cunicoli fotocopia, con i cartoni messi insieme alla meglio per creare un riparo dal freddo, angoli dove cucinare – magari usando l’alcol che tanto spaventa l’anziano abitante del marciapiede di Corso Italia – creati di fianco alla zona usata come toilette. Piccoli tunnel dove a livello strada spicca il sarcastico cartello “Uscita di sicurezza”, con il segno del divieto di acceso che nessuno rispetta, che nessuno controlla.
Mentre la polizia scientifica raccoglieva i resti dei due poveri senza casa morti bruciati la scorsa notte, nessuno si curava di quello che accadeva solo a cento metri. Chi abita questa Roma sotterranea oggi era lontano, nascosto chissà dove, temendo la presenza degli agenti. Ma solo tra qualche ora riappariranno, scenderanno di nuovo nei cunicoli che portano al tunnel dove scorrono le automobili, come se nulla fosse accaduto.
Roma – la capitale di quel paese che i somali li ha dominati per decenni, facendo arricchire un’intera classe politica negli anni d’oro delle tangenti – semplicemente chiude gli occhi di fronte al piccolo esercito di senza tetto e senza storia che vagano all’imbrunire. Quando spariscono sotto l’asfalto si tira un sospiro di sollievo nelle vie del salotto buono, tra la blindata ambasciata britannica e il centro del potere burocratico finanziario. Se qualcuno arde vivo è in fondo poco più di una scocciatura: “Guardi più giù, lì trova anche gli zingari. Si rende conto?”, spiega un anziano commerciante fiero sostenitore di Alemanno, esponente di un gruppo che si fa chiamare “Roma liberale”. Ma non una parola su quelle due morti che domani potrebbero ripetersi.