Due piccoli ignobili eventi accompagnano il Giorno della Memoria 2013. Il primo, sono rese note alcune registrazioni telefoniche nell’ambito di un’inchiesta su CasaPound a Napoli, emerge quanto segue: una studentessa per la sola colpa di essere ebrea deve essere colpita, e essendo ragazza, il machismo fascista immagina di violentarla, se si può dire, con particolare violenza; nei colloqui si afferma che la Shoah non è esistita, è una menzogna divulgata dagli ebrei – intesi come cospirazione giudaica internazionale, naturalmente – ma non si può dire in pubblico, anzi, la strategia propagandistica fascista prevede che si debba fingere di credere allo sterminio, fingere dolore per l’assassinio degli ebrei.
I fascisti chiedevano – ed ottenevano, ahinoi – consenso sui grandi progetti violenti, contro gli ebrei e contro altri popoli e nazioni, ma non potevano disvelare la realtà effettiva, materiale, pratica, tecnica, dello sterminio. La doppia verità di quelle telefonate è la stessa del regime nazista, i capi del regime accusavano e minacciavano gli ebrei, ma imponevano ai carnefici delle Einsatzgruppen e delle Ss nei campi di non rivelare le modalità di torture e assassinii.
Il secondo, Silvio Berlusconi ritorna al vecchio copione: recita la fòla di un fascismo non cattivissimo, a parte lo sciagurato errore dell’alleanza con la Germania e la conseguente legislazione razzista. Perché si perda in tali cialtronerie è evidente: non capisce nulla di storia ed in campagna elettorale tende a rivolgersi a quella parte – sia chiaro, rilevante – di elettorato che se non è fascista è certamente anti-antifascista.
Una quota di italiani, in diversa misura conservatori, che hanno rifiutato o non sono stati educati alla comprensione dei fondamenti della nostra e delle altre democrazie europee postbelliche, e che hanno sacrificato sull’altare di una desiderata mediocrità – ora rassicurante ora furbesca – la disponibilità ad accettare i crimini italiani, come gli eroismi e i riscatti.
Tecnicamente il primo è negazionismo, il secondo revisionismo. Al primo si risponde sdegnati pensando che si tratti di pochi estremisti, al secondo elencando alcuni dei crimini del regime mussoliniano. Commettendo due errori. Il negazionismo della Shoah non riguarda pochi fanatici, il mondo arabo è attraversato dall’antisemitismo e dal negazionismo, in un esplicito nesso tra nazismo, neonazismo e islamismo (non l’Islam, ma l’ideologia totalitaria che si ammanta di religiosità) il cui centro di irradiazione è l’Iran, i cui vertici politici ad un tempo negano lo sterminio degli ebrei e divulgano tesi giudeofobe di stretta impronta hitleriana. Il revisionismo non si contrasta mettendo sul piatto della bilancia l’elenco dei crimini (che pure dovrebbero essere disvelatori), ma fornendo un’interpretazione storica del crimine, che è stato il regime fascista in quanto tale e la sua struttura ideologica.
Contestualmente, si celebra il rito della celebrazione del Giorno della Memoria, il quale, a parte significative ma marginali iniziative, nel suo complesso è caratterizzato da una insopportabile retorica. Tra banalizzazione e sacralizzazione è questa la memoria che avrebbe voluto promuovere la legge istitutiva del 2000? Sentiamo ripetere fino alla noia una formula vuota e inutile secondo la quale la memoria è necessaria perché non accada mai più, e che bisogna essere vigili.
Quella fascista è stata una grande strategia politica, articolata e complessa, che come parte del suo programma aveva scelto di raccogliere, rilanciare e portare a sistema pregiudizi antichi e recenti, religiosi e scientifici. A seconda delle condizioni e della situazione nazionale, in fasi diverse, più gradualmente, in Italia in modo accelerato in Germania, sono state coniugate giudeofobia cristiana e razzismo biologico, le radici lunghe del pregiudizio e quelle nuove sviluppatesi nell’affermarsi delle potenze nazionali imperialiste nell’ultimo terzo del secolo precedente.
In realtà, l’antisemitismo e il razzismo fornivano una risposta, apparentemente troppo semplice e rozza, ma resa efficace dalla sua reiterazione nelle angosce di una società inquieta, attraversata da due profonde crisi quella del primo dopoguerra e quella del 1929, in cerca di punti di riferimento che sembravano smarriti di fronte a mutamenti epocali, rappresentati in modo estremo ed atroce dall’immane bagno di sangue della Grande guerra (la prima guerra mondiale si chiamava così allora). Attestarsi su una presunta identità di stirpe, definire la propria nazione per esclusione, cercare una purificazione salvifica nel consolidare il nesso terra e sangue ha costituito una risposta che ha sedotto molti, sottovalutata da altri.
A questioni tanto grandi non si può rispondere con un appello ai “buoni sentimenti”, contro il male astratto in ricordo delle vittime, anch’esse astratte. I buoni sentimenti sono stati posti al servizio delle peggiori efferatezze. Occorrerebbe ben altro, usiamo termini sviliti come cultura e politica. E ricominciamo a riflettere seriamente sulla funzione civile della storia.