Prezzi sempre più alti, stipendi sempre più bassi. Nella serie Istat sulle retribuzioni contrattuali orarie per l’intera economia, che riporta i valori medi annui dal 1983, non si era mai registrato un livello così basso. Infatti il 2012 segna un incremento inferiore anche a quello del già ‘nero’ 2011, quando l’indice era salito dell’1,8%, il minimo dal 1999. (scarica il documento integrale).
Tornando al 2012, parlando del dato più basso dal 1983, ovvero da 29 anni quindi del record assoluto negativo, si deve tenere conto delle condizioni molto differenti che caratterizzavano gli anni Ottanta, con un’inflazione molto più alta visto che c’era ancora la lira.
Nella media del 2012 la forbice tra l’aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,5%) e l’inflazione (+3,0%), su base annua, è stata di 1,5 punti percentuali. Quindi la crescita dei prezzi è stata doppia rispetto a quella dei salari. Si tratta del divario maggiore, a sfavore delle retribuzioni, dal 1995.
Le retribuzioni contrattuali orarie a dicembre restano quasi ferme rispetto a novembre, salendo solo dello 0,1%, mentre crescono dell’1,7% su base annua (dal +1,6% del mese precedente). Il dato tendenziale, il più alto dall’ottobre 2011 (terzo aumento consecutivo), nonostante la frenata dei prezzi, rimane sotto il livello d’inflazione (+2,3%), ma il divario si restringe a 0,6 punti percentuali (il gap era di 0,9 punti a novembre).
Inoltre, a dicembre risultano in attesa di rinnovo 32 accordi contrattuali, di cui 16 appartenenti alla pubblica amministrazione, relativi a circa 3,7 milioni di dipendenti (intorno ai 3 milioni nel pubblico impiego). La quota di dipendenti che aspettano il rinnovo è pari al 28,4% nel totale dell’economia. A riguardo l’Istituto ricorda che a partire dal 2010 tutti i contratti della pubblica amministrazione sono scaduti.
L’economia italiana “sta toccando il fondo della dura recessione, la seconda in cinque anni. Si delineano i presupposti di un rimbalzo che può dare avvio alla ripresa”, commenta nella Confindustria nel rapporto “Congiuntura flash”. “La sfiducia ha infatti compresso la domanda interna ben oltre quanto giustificato dalla situazione oggettiva dei bilanci familiari e aziendali – si legge nell’analisi mensile – gli acquisti di beni durevoli sono scesi molto più del reddito reale disponibile, gli investimenti sono ai minimi storici in rapporto al Pil e le scorte sono bassissime”.
Secondo il Centro studi di viale dell’Astronomia, infatti, la sfiducia ha compresso la domanda interna “ben oltre quanto giustificato dalla situazione oggettiva dei bilanci familiari e aziendali”: gli acquisti di beni durevoli sono scesi molto più del reddito reale disponibile, gli investimenti sono ai minimi storici in rapporto al Pil e le scorte sono bassissime. Contemporaneamente, si legge ancora, vengono meno o si allentano le tre cause del regresso: credit crunch, iper-restrizione dei bilanci pubblici e frenata della domanda globale.
A giudizio di Confindustria, però “basilare per la ripartenza è che si sollevi la cappa di paura creata dalla situazione politica interna; perciò – ribadisce l’organizzazione – è cruciale che l’esito delle imminenti elezioni dia al Paese una maggioranza solida, che abbia come priorità le riforme e la crescita, fornendo così un quadro chiaro che infonda fiducia nel futuro e orienti favorevolmente verso la spesa le decisioni di consumatori e imprenditori. Rimarranno deboli le costruzioni, per le quali vanno prese misure specifiche”.
Tra gli elementi positivi, Confindustria elenca il fatto che nel sistema globale l’incertezza politica si sia “quasi dissolta”, i “continui segnali di progresso, alcuni perfino nell’Eurozona” grazie all’azione della Bce (“che rimane però timida sui tassi”), la Cina che è ripartita, il risveglio dell’edilizia residenziale negli Stati Uniti, le materie prime, specie il petrolio, “che fiutano il riavvio mondiale”.