Poco risalto ha avuto sui quotidiani mainstream la notizia che la Commissione Europea ha espresso un parere fortemente critico sulla riforma del mercato del lavoro, targata Monti-Fornero. Bruxelles denuncia la non corretta applicazione della direttiva Ue del 1999 che regola i diritti dei lavoratori a termine. È l’esito di una procedura che, a onor del vero, era cominciata già prima che la riforma Fornero venisse approvata (nel 2010).

Ciò che rileva infatti la Commissione è che la nuova riforma non ha sanato la violazione già precedentemente segnalata dall’Ue, anzi l’ha aggravata in seguito alla liberalizzazione nell’uso dei contratti a termini. La violazione consiste nel non considerare i lavoratori a termine nel calcolo dei dipendenti complessivi di un’azienda ai fini della creazione di una rappresentanza sindacale. In particolare, i lavoratori a termine, a meno che non abbiano lavorato per almeno 9 mesi, sono discriminati. Questo ha un impatto sia sui lavoratori a tempo determinato, sia su quelli a tempo indeterminato in quanto limita la possibilità di stabilire una rappresentanza sindacale nelle aziende che non raggiungono il numero minimo fissato per legge.

Fin qui la notizia. San Precario però vorrebbe far notare che sotto accusa non è soltanto la riforma Fornero: va infatti sottolineato che tutti i sindacati di questo paese (praticamente nessuno escluso, da quelli di matrice fordista a quelli corporativi come il sindacato dei giornalisti), nel corso degli ultimi anni non hanno mai voluto affrontare il tema per loro spinoso della rappresentanza sindacale dei lavoratori atipici. Troppo spesso i sindacati si interessano prevalentemente dei lavoratori stabili e scaricano i costi sociali dei processi di ristrutturazioni sui precari. Le vertenze in atto oggi in alcune grandi case editrici lo dimostrano ampiamente. In realtà, ciò che la Commissione boccia non è tanto la riforma Fornero, ma piuttosto la falsa rappresentanza dei sindacati italiani.

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