Dopo l'acquisto di Antonveneta il Monte dei Paschi ha fatto di tutto per far sparire le perdite. E gli ispettori dell'istituto diretto da Mario Draghi lo sapevano
La Banca d’Italia, allora diretta dal presidente della Bce Mario Draghi, nel 2010 aveva gli elementi per capire che i conti di Monte Paschi di Siena erano truccati. O almeno molto sospetti. Sarà pur vero che “la vera natura di alcune operazioni riguardanti il Monte dei Paschi di Siena riportate dalla stampa [cioé dal Fatto, ndr] è emersa solo di recente, a seguito del rinvenimento di documenti tenuti celati all’autorità di Vigilanza e portati alla luce dalla nuova dirigenza di Mps”, come ha comunicato Bankitalia pochi giorni fa. E sarà pur vero che il contratto con Nomura sul derivato Alexandria che nascondeva un buco di almeno 220 milioni è stato nascosto nella cassaforte dell’ex direttore generale Antonio Vigni dal 2009 fino al 10 ottobre 2012. Ma è anche vero che la Banca d’Italia aveva davanti ai suoi occhi una sequenza di fotogrammi nitidi che formavano un film. Ma nessuno ha voluto capirne la vera trama.
Il miliardo per Antonveneta
Prima scena: l’acquisizione di Antonveneta. Per arrivare ai 10 miliardi richiesti dal Banco Santander, Mps chiede ai suoi amici di sottoscrivere anche un miliardo di obbligazioni convertibili in azioni. È il F.R.E.S.H. (Floating Rate Equity-linked Subordinated Hybrid Preferred Securities) sottoscritto per 490 milioni dalla Fondazione Mps, per 15 milioni di euro dalla Fondazione di Piacenza, per 30 milioni dalla Fondazione Cariparo e il resto da investitori istituzionali. Il Fresh si converte in azioni ma garantisce una cedola lorda pari al 4,25 per cento più il tasso Euribor: nel 2008 si arriva al 10 per cento. Per Mussari raccogliere il miliardo mediante le obbligazioni ibride Fresh presenta un vantaggio non da poco: può considerare quei soldi come se fosse capitale della banca perché se la banca non fa utili, gli obbligazionisti non incassano la cedola.
Ai tempi dell’acquisto di Antonveneta, nel 2008, Mussari dichiara trionfante che vede la possibilità di fare 700 milioni di euro di utile nel 2009 e tutti sono tranquilli. Poi c’è il crollo dei mercati con il crack Lehman e i nodi vengono al pettine. Al 31 dicembre 2009 Mussari e Vigni si trovano stretti in una tenaglia: da un lato Bankitalia chiede di rafforzare il rischio del bond. Se Mps vuole considerare quel miliardo come capitale, il FRESH deve distribuire la cedola non quando la banca realizza l’utile ma quando lo realizza e lo distribuisce. Mussari non è in grado di chiedere altri soldi al mercato e così il Fresh viene modificato dal suo emittente, JP Morgan, per andare incontro alle volontà della vigilanza di Bankitalia. Però non tutti ci stanno a rinunciare ai diritti acquisiti.
La riunione a Milano
In una riunione nei primi mesi del 2009 a Milano, sottoscrittori che rappresentano circa l’otto per cento del Fresh si oppongono alle modifiche. Il Jabra Fund del finanziere libanese Philippe Jabra ottiene che sia firmata dal Monte dei Paschi una sorta di malleva, una lettera di “indemnity” alla JP Morgan e alla Bank of New York che ha formalmente emesso il Fresh. Se ci dovessero essere conseguenze negative a seguito delle decisioni di quella riunione, sarà il Monte a farvi fronte. Il rischio dell’impresa che Bankitalia voleva fosse attribuito ai possessori del Fresh (come Jabra) viene rimbalzato dal coriaceo libanese proprio su Mps. Chissà se Bankitalia ha ricevuto notizia da Mps della lettera che liberava dai rischi i sottoscrittori del Fresh. E cosa ha fatto l’organo di vigilanza per reagire all’aggiramento alle sue prescrizioni?
Questa è una delle questioni al centro dell’inchiesta della Procura di Siena che si lega con il secondo filone, quello sul “trucco del bilancio” 2009 realizzato da Giuseppe Mussari e Antonio Vigni mediante il contratto (scovato nella cassaforte tre anni dopo) siglato con Nomura.
Il centesimo di Mussari
Proprio nel 2009, subito dopo la modifica alle regole del bond per impedire di distribuire la cedola sul Fresh senza dividendi , accade una cosa più unica che rara: Mps distribuisce solo un centesimo e solo alle azioni di risparmio. Sembra una pernacchia agli uomini di Mario Draghi e del suo vice Annamaria Tarantola. Ma nessuno pare accorgersi che la distribuzione di poche centinaia di migliaia di euro agli azionisti di risparmio fa scattare la cedola sul Fresh da un miliardo. La Fondazione MPS può mettere a bilancio più di venti milioni di euro. E anche Jabra è accontentato: Mps non dovrà pagare la sua cedola come si era impegnata a fare con la lettera di “indemnity”. Tutti sono contenti.
Il bilancio ritoccato
Peccato che oggi si scopre come è stato possibile chiudere quell’anno il bilancio in utile e quindi distribuire il dividendo da un centesimo e quindi pagare decine di milioni alle Fondazioni, a Jabra e agli altri ignoti e misteriosi detentori del Fresh. Mussari aveva concordato con Nomura un’operazione per nascondere le perdite del derivato Alexandria. La banca giapponese comprava Alexandria a un prezzo alto e fuori mercato e in cambio Mussari si impegnava (con tanto di telefonata registrata a futura memoria) a comprare da Nomura alcuni derivati su titoli di Stato con scadenza lunghissima a prezzi fuori mercato, stavolta a sfavore di Mps. Uno scambio tra un vantaggio immediato sul bilancio 2009 e uno svantaggio più pesante per Mps, ma spalmato sui bilanci a venire. Banca d’Italia, che già doveva insospettirsi di fronte a un dividendo ridicolo alle sole azioni di risparmio nel 2009, avrebbe dovuto reagire a maggior ragione nel 2010.
L’ispezione
Da maggio a novembre i suoi ispettori scoprono che “alcuni investimenti a lungo termine finanziati con repo di pari scadenza presentano profili di rischio non adeguatamente controllati, …. si sono determinati consistenti assorbimenti di liquidità (oltre 1,8 miliardi di euro) riferiti a due operazioni, del complessivo importo nominale di 5 miliardi stipulate con No-mura Plc”, si legge nel verbale pubblicato da Linkiesta.it. Bankitalia quindi da un lato sa che Mps ha un disperato bisogno di distribuire un utile nel 2009. Dall’altro vede nei conti della banca le operazioni realizzate a prezzi “fuori mercato” per nascondere le perdite di Alexandria e truccare il bilancio del 2009. Ma non fa due più due e non prende provvedimenti. La Procura dovrà stabilire se si è trattato solo di disattenzione o di altro.
da Il Fatto Quotidiano del 29 gennaio 2013