Il piano sul sistema aeroportuale approvato dal ministro Passera a fine legislatura senza un contemporaneo varo dell'autorità dei trasporti che vigili su tariffe e investimenti da parte dei gestori, rischiano di avere conseguenze a carico dei cittadini che vorranno utilizzare il trasporto aereo per rispondere alle proprie esigenze di mobilità
Piegare il settore aeroportuale alle esigenze dei politici non si è mai rivelato vincente e anche questa volta, con il piano approvato dal ministro Corrado Passera a fine legislatura senza un contemporaneo varo dell’autorità dei trasporti che vigili su equità delle tariffe e investimenti da parte dei gestori, si rischiano conseguenze a carico esclusivo dei cittadini che vorranno utilizzare il trasporto aereo per rispondere alle proprie esigenze di mobilità. Eppure lo aspettavano da trenta anni, il piano di riordino del sistema aeroportuale italiano. Non a caso le affermazioni di tutti i politici che hanno accompagnato la riforma varata ieri da Passera e dal suo vice Ciaccia, sono state tutte concordi nella positività di questo progetto.
IL LUNGO FILO DEI PIANI DI RIORDINO. In realtà è bene tornare indietro di pochi anni per comprendere il perché non vi siano state quasi voci discordanti. Correva l’anno 2007 e al governo c’era Romano Prodi. L’allora ministro dei Trasporti era Alessandro Bianchi, in quota comunista, e anche lui aveva ordinato di fare un piano per lo sviluppo degli aeroporti. Caduto il Prodi, arrivò l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi, con Altero Matteoli alle Infrastrutture, in quota di quella che fu Alleanza Nazionale, che portò avanti il progetto di completare l’opera iniziata dai suoi predecessori. Si arriva così ai giorni nostri, con la caduta del governo Berlusconi e l’arrivo di Monti che non hanno cambiato troppo i programmi in ambito aeroportuale. Passera, infatti, ha continuato l’opera dei governi precedenti fino ad arrivare a quella che è, secondo le parole dell’ex banchiere, “una riforma attesa da trenta anni”. Da questo breve excursus storico è possibile trarre un’indicazione chiara: ai politici piace fare piani per il settore aeroportuale. Ma cosa prevede questa pianificazione?
SCALI PRIMARI E SECONDARI. Gli scali sono stati suddivisi in quelli d’interesse nazionale e quelli secondari. Nella prima categoria ricadono i più importanti aeroporti, quali gli scali romani e quelli milanesi. Nella seconda categoria, gli esclusi, invece ci sono alcuni piccoli aeroporti commerciali quali Parma, Brescia o Perugia. I primi, nel complesso trentuno, potranno beneficiare degli investimenti da parte dello Stato, mentre i secondi dovranno cavarsela da soli. Questo significa che saranno gli enti locali o le camere di commercio che avranno la responsabilità di ricapitalizzare i piccoli aeroporti che sono in perdita.
Il piano inoltre prevede che non sarà possibile costruire altri scali. In particolare l’aeroporto di Napoli Grazzanise, da anni considerato essenziale per lo sviluppo del traffico aereo nell’aerea partenopea, non dovrebbe venire alla luce, così come lo scalo di Viterbo.Partiamo da questi due ultimi casi. Nel caso di Napoli, siamo in una situazione di congestione aeroportuale. Lo scalo attuale è all’interno della città ed è abbastanza saturo. Le affermazioni ufficiali sono quelle che Napoli può sviluppare il proprio traffico su Salerno, dove è stato costruito pochi anni fa, con i soldi del contribuente, uno scalo nuovo di zecca. Peccato, che i politici, così lungimiranti nel fare piani, abbiano fatto costruire un aeroporto con la pista troppo corta per accogliere i grandi aerei commerciali. Un piccolo errore di pianificazione.
Il caso di Viterbo è ancora più eclatante. Lo scalo della Tuscia è stato a lungo in ballottaggio con altri possibili aeroporti del Lazio. Alla fine la spuntò questo scalo distante circa due ore dalla città capitolina senza che vi fosse un motivo socio-economico vero e proprio. L’apertura di Viterbo serviva a far chiudere lo scalo di Roma Ciampino, utilizzato da Ryanair, la principale compagnia low cost europea con circa 80 milioni di passeggeri l’anno. Celebre fu una frase del 2009 dell’ex Presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo: “Chiudiamo Ciampino per aiutare Alitalia”.
Del resto ai politici piace pianificare, di qualunque colore essi siano, ma è chiaro che vi sono dietro delle motivazioni che sono ben lontane da quelle che sono le esigenze dei viaggiatori. Chiudendo Ciampino e aprendo uno scalo, quello di Viterbo, a due ore di distanza dalla Capitale, si sarebbe lanciato un assist ad Alitalia, che si sarebbe tolta la concorrenza del vettore low cost che trasporta circa cinque milioni di passeggeri da Roma Ciampino.
L’IMPREVISTO LOW-COST A BERGAMO. Alla politica pianificatrice, poi, sfuggono alcuni dettagli non da poco. Per esempio, quale politico aveva previsto lo sviluppo della crescita delle compagnie low cost e la conseguente crescita di quelli che sono gli aeroporti secondari? Chiaramente nessuno. Non è un caso che la gestione politica nel settore del trasporto aereo, come per esempio per la vecchia Alitalia, sia un chiaro esempio di come la visione dei politici non sia quella di lungo periodo. Ma è un fatto che Ciampino o Bergamo, che ora sono due degli scali più importanti in Italia, dieci anni fa erano quasi insignificanti in termini di passeggeri trasportati. L’arrivo di Ryanair ha portato uno sviluppo di oltre sette volte a Bergamo e di quasi cinque volte nel caso di Ciampino.
Con tanto di effetti positivi sull’occupazione. Le stime dell’Airport Council International, associazione che raggruppa circa il 90 per cento degli aeroporti mondiali, indicano che ogni milione di passeggeri si creino almeno 1000 posti di lavoro diretti e almeno altrettanti nell’indotto. Bergamo Orio al Serio ha visto transitare quasi nove milioni di passeggeri l’anno nel 2012 posizionandosi subito dietro a Roma Fiumicino, Milano Malpensa e Milano Linate nella classifica degli aeroporti italiani.
Certo, è possibile notare una differenza tra lo sviluppo di Ciampino e quello di Bergamo, ma questa deriva da una decisione regolamentare proprio nel pieno della crisi Alitalia. Lo scalo romano, infatti, ha visto una limitazione delle partenze giornaliere e da quel momento ha smesso di crescere e portare passeggeri nell’aeroporto. Correva l’anno 2009, quello della ripartenza della nuova Alitalia e quello delle affermazioni dell’ex Presidente della Regione Lazio. Pianificazione politica?
Gli scali secondari hanno avuto un forte sviluppo grazie alla crescita delle compagnie low cost. Nessun politico lo aveva compreso o minimamente previsto. Per fortuna all’epoca i piani aeroportuali non esistevano, altrimenti Bergamo o Ciampino sarebbero stati bloccati sul nascere.
IL FINANZIAMENTO DEGLI AEROPORTI. Nel piano aeroportuale versione 2013 si prevede che gli aeroporti d’interesse nazionale possano essere finanziati. E come si finanziano gli investimenti? I governi affermano sempre che le risorse sono limitate e che quindi gli aeroporti possono trovare fonti di ricavo direttamente dal mercato. Ma il mercato aeroportuale è differente. È un monopolio naturale. Quindi se un gestore pubblico o privato che sia, decide di massimizzare i ricavi, basta che alzi le tariffe per i passeggeri che utilizzano lo scalo. È la ragione per cui è necessario che vi sia una regolamentazione da parte dello Stato al fine di evitare delle rendite di monopolio.
Ci dovrebbe essere un authority indipendente, come l’autorità dei trasporti, che stima quali sono le esigenze d’investimento di uno scalo e valuta, dopo studi economici, l’equità delle tariffe. Chiaramente mentre il piano aeroportuale è stato approvato, la creazione dell’authority è ferma in qualche cassetto ministeriale da oltre un anno: dal dicembre 2011 ad oggi, pur essendo stata istituita da una legge, l’autorità dei trasporti non ha visto luce. In compenso, uno degli ultimi atti del governo Monti in carica è stato quello di aumentare le tariffe aeroportuali di Fiumicino poco prima del Natale scorso.
Al primo giorno d’apertura in Borsa, la società che controlla Aeroporti di Roma, la Gemina dei Benetton, ha registrato in Borsa un balzo del 32 per cento, diretta conseguenza del rincaro: oltre nove euro per passeggero di incremento pari ad oltre 300 milioni di euro l’anno. In Italia, si sentiva spesso dire, le tariffe aeroportuali sono le più basse in Europa. In realtà i principali aeroporti italiani si discostano poco dalla media europea, come dimostrava un’analisi di Assaereo dello scorso anno (vedi qui la tabella comparativa).
L’incremento delle tasse aeroportuali romane farà balzare lo scalo di Fiumicino molto al di sopra della media dei principali aeroporti europei con un danno per tutti i viaggiatori che subiranno una crescita dei prezzi dei biglietti aerei. La pianificazione degli aeroporti arriva dunque senza un’autorità dei trasporti che abbia controllato la congruità dell’aumento delle tasse aeroportuali. Un piano di riordino che rischia dunque di fare molti danni e di compromettere lo sviluppo del mercato aereo.