E' online la prima rivista italiana a occuparsi dei due temi che nei Paesi anglosassoni costituiscono già un binomio.Alla base della relazione, il riconoscimento della compresenza di specie domestiche e urbanizzate in seno alla società. Tra gli obiettivi anche interrogarsi sul modo in cui l'esistenza degli animali viene piegata dalla volontà umana. "Non sono ingranaggi, ma soggetti veri a propri"
E’ online “Musi e Muse” (MeM), la prima rivista italiana ad occuparsi di femminismo e animalismo. Un binomio che nei Paesi anglosassoni è diffuso da tempo ma che da noi, fino ad ora, ha trovato spazio soltanto negli ambienti dell’attivismo. Tra le idee alla base della relazione tra animalismo e femminismo c’è il riconoscimento della compresenza di esseri umani e animali (le specie domestiche e quelle urbanizzate) in seno alla società. “Il nostro punto di partenza è molto concreto – spiega Agnese Pignataro, direttrice scientifica di “Musi e Muse”, dottoranda in Filosofia morale all’École normale supérieure di Parigi e impegnata nel movimento politico di liberazione animale da più di dieci anni. – Vogliamo parlare degli animali che popolano la nostra vita, in modo visibile o nascosto, e da qui mostrare come la loro presenza sia un dato costitutivo delle società umane, che in questo senso possono essere chiamate «comunità miste» seguendo la filosofa inglese Mary Midgley”.
La rivista intende esaminare, continua Pignataro, “la partecipazione degli animali alla nostra vita sociale non in quanto meri ingranaggi di dinamiche culturali umane ma in quanto individui dotati di soggettività propria. L’obiettivo è anche di interrogarci sul modo in cui le loro esistenze vengono piegate dalla nostra volontà e dalla nostra forza e costrette a condizioni di vita estremamente penose. Pensiamo soltanto agli animali che vivono negli allevamenti, che vengono privati della libertà e costretti a sofferenza continua e a morte prematura e violenta. Ci interessa infine riflettere su un nuovo tipo di rapporti che noi umani potremmo intessere con loro, fondati sul riconoscimento reciproco e sull’equità”.
“Musi e Muse” è nata con la volontà di far conoscere al pubblico italiano testi e autrici di lingua straniera che trattano la questione animale da un punto di vista femminista. Tra animalismo e femminismo, infatti, c’è una relazione stretta. Entrambi i movimenti lottano contro lo stesso meccanismo ideologico che consiste nel vincolare i soggetti oppressi a un’identità connotata in senso biologico e vista come radicalmente essenziale, legata alla natura profonda dell’individuo e quindi immutabile: il genere e la specie. Questa identità ha effetti politici precisi e funziona come giustificazione implicita di relazioni di potere asimmetriche.
C’è poi l’interessante questione del vegetarianismo. I numeri dimostrano che ci sono molte più vegetariane donne rispetto agli uomini. Un dato che, secondo Pignataro, si può interpretare in diversi modi: le abitudini alimentari sono prodotti sociali e il fatto che tradizionalmente la carne sia associata alla virilità spiega la tendenza delle donne a mangiarne meno o a privarsene del tutto. “È anche vero però che le donne – spiega la direttrice di “Musi e Muse” – rivestendo ruoli di cura molto più spesso degli uomini, vivono più di loro in prossimità con individui animali e questo può spingerle a sviluppare un senso di empatia e di solidarietà nei confronti loro e della loro specie, ed anche di altre specie. Questi due elementi da soli aprono una riflessione femminista, visto che mostrano come l’atteggiamento delle donne nei confronti degli animali sia un effetto del loro status nella società patriarcale”.
Inoltre, un’altra connessione importante è data dal fatto che tanto le donne che gli animali subiscono una violenza sottile, quotidiana, nascosta, non riconosciuta come tale. Al di sotto delle situazioni di crudeltà eclatante (come la corrida per gli animali, o stupri particolarmente violenti come quello avvenuto a l’Aquila) su cui l’opinione pubblica si trova d’accordo, esiste uno strato profondo di pratiche di assoggettamento dell’esistenza dell’altro che si iscrivono in relazioni banali, onnipresenti e ambigue, il cui contenuto politico è difficile da percepire. Si tratta di relazioni quotidiane connotate da una rigida asimmetria, in cui cioè i soggetti sono vincolati a ruoli rigorosamente non interscambiabili (gli umani mangiano e gli animali sono mangiati; gli uomini si fanno servire e le donne devono stare a loro disposizione, e così via), e da una forte ambivalenza data dalla mescolanza dello sfruttamento materiale con elementi affettivi importanti legati alla sfera domestica. “Una delle linee forti seguite da MeM è l’etica del care (in inglese, cura e attenzione), un approccio femminista basato appunto sull’analisi dei contenuti etici e politici delle relazioni personali (in particolare quelle di cura), che ha conosciuto un importante sviluppo in etica animale ad opera di alcune femministe vegetariane statunitensi come Josephine Donovan e Carol J. Adams”, aggiunge Pignataro.
Il fatto che il connubio animalismo e femminismo sia molto più radicato nei paesi anglosassoni è dovuto al fatto che è l’animalismo stesso, in quanto movimento politico ed intellettuale, ad essersi sviluppato in modo più organico e visibile all’estero, per la precisione nei Paesi anglosassoni, anche se manifestazioni di attenzione e compassione per gli animali non sono mancate neanche in Italia fin dal XIX secolo. “Penso che sia possibile attribuire questo fenomeno – osserva Pignataro – alle diverse tradizioni intellettuali, ma anche a una maggiore disponibilità alla contaminazione concettuale e all’interscambio con l’ambiente militante che si riscontra negli Stati Uniti e che ha portato, a mio avviso, allo studio delle intersezioni dei sistemi di potere, come quella di cui stiamo parlando tra specismo e patriarcato.
Gli studi che analizzano le relazioni e gli sviluppi tra femminismo e animalismo sono entrati anche nel chiuso dell’accademia, con il rischio potenziale di restarci. “Certo, il rischio che studi a ricaduta politica finiscano per essere risucchiati in un ambito puramente teorico e quindi neutralizzati esiste sempre, anche in realtà come quella degli Stati Uniti dove il sapere circola a più livelli – dice Pignataro. – Credo che la volontà di una parte del movimento animalista di appoggiare le proprie rivendicazioni su una base teorica funga da stimolo ai giovani ricercatori nelle scienze umane. Bisogna dire però che in Paesi come la Francia o l’Italia, diversamente dagli Stati Uniti, gli studiosi universitari sono restii ad affermare fino in fondo le conseguenze politiche delle loro riflessioni o a manifestare pubblicamente il loro impegno in una causa, pur avendo magari delle convinzioni sincere in merito: questo, oltre ad impoverire lo stesso dibattito intellettuale, può dar luogo a uno scarto tra riflessione e realtà che l’opinione pubblica difficilmente potrà colmare da sola”.
La bibliografia su questi temi è essenzialmente in inglese e i testi tradotti in italiano sono rari. Tra questi, “La guerra sulla compassione” di Carol Adams nel volume collettivo “Nell’albergo di Adamo” (a cura di M. Filippi e F. Trasatti, Mimesis, Milano 2010). Molto utile poi “Ecofemminismo e questione animale: una introduzione e una rassegna” a cura di A. Zabonati, dal numero 20 della rivista DEP – Deportati, Esuli e Profughe dell’Università Ca’ Foscari di Venezia (il documento si può scaricare sul sito della rivista).