Lettera ad Ingroia su reato di tortura, carceri e forze dell’ordine
Caro Antonio Ingroia, il suo arrivo a Bologna si annuncia come l’occasione per spiegare il programma di Rivoluzione Civile. Per questo spero che tra le tante risposte che di appresta a dare ce ne sia anche qualcuna per un appello che da qualche settimana le è stato rivolto pubblicamente, senza avere avuto a tutt’oggi risposta, dove si chiede:
- il varo di una legge che preveda il reato di tortura (come fattispecie giuridica imprescrittibile quando commessa da pubblici ufficiali);
- la definizione di regole per consentire la riconoscibilità degli operatori delle forze dell’ordine;
- l’istituzione di un organismo “terzo” che vigili sull’operato dei corpi di polizia;
- l’impegno alla esclusione dell’utilizzo nei servizi di ordine pubblico di sostanze chimiche incapacitanti e l’impegno circa una moratoria nell’utilizzo dei GAS CS;
- l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti avvenuti nel 2001, durante il vertice G8 di Genova e, precedentemente, il Global Forum di Napoli;
- la revisione del Codice Rocco e dei reati, come l’introduzione dei siti militarizzati di interesse nazionale, costruiti per criminalizzare il conflitto sociale e le lotte per la ripubblicizzazione dei beni comuni. Nel Paese ci sono quasi ventimila fascicoli su reati come resistenza e oltraggio oppure devastazione e saccheggio applicabili con una insopportabile discrezionalità per infliggere pene sproporzionate agli attivisti politici;
- la revisione dei metodi di reclutamento e di addestramento per chi operi in ordine pubblico e la revisione delle funzioni di ordine pubblico per Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale dello Stato, l’Italia è un’anomalia unica al mondo con cinque organi nazionali di Polizia con compiti di ordine pubblico;
- la revisione delle leggi proibizioniste che hanno riempito le carceri di povera gente aumentando a dismisura il Pil delle narcomafie e dei trafficanti di esseri umani.
Tra i firmatari Patrizia Moretti, Lucia Uva, Lorenzo Guadagnucci, Enrica Bartesaghi e Haidi Gaggio Giuliani. Tutte persone che a vario titolo sono state vittime della cosiddetta “malapolizia”, ma che a ben guardare hanno subìto come molte altre soprattutto l’irresponsabilità e l’indolenza della politica e delle istituzioni che hanno lasciato che di questi temi si discutesse solo a margine di eventi trattati come questioni di ordine pubblico o cronache giudiziarie balzate all’onore della cronaca, lasciando senza risposta – negli anni – altri appelli, raccolte di firme e prese di posizione pubbliche.
Ed invece, oggi, queste riforme ed iniziative di legge non solo non sono più prorogabili, ma in un momento nel quale anche i diritti più elementari sembrano essere messi in discussione, rappresentano uno dei pochi modi con i quali misurare il grado di civiltà di un paese, la tenuta di garanzie costituzionali che non ammettono deroghe. E forse non sarà rivoluzionario, ma anche da qui passa la strada per diventare un paese migliore. Oggi più che mai è un dovere morale che la politica ha verso le vittime come verso gli altri cittadini.