Dapprima il reportage da Predappio sulla famiglia Mussolini per Le Ore, poi i ritratti antropologici nelle regioni del Sud e infine gli scatti preziosi di Monica Vitti, Claudia Cardinale, Sofia Loren e Silvana Mangano. La carriera tra gli anni cinquanta e gli anni settanta di una barese trapiantata a Milano allo Studio d'Arte Interno 11
Chiara Paparella, chi era costei? Nasce a Bari nel 1935, ma vi resta poco. Se ne perdono le tracce già nel 1953 quando, di lì a poco, c’è la svolta. A prendere il suo posto, in effetti, è Chiara Samugheo, colei che diventerà la fotografa delle dive, catturando col suo obiettivo le star degli anni ’50 e ’60. E a poco vale ricordare nomi come Sofia Loren, Silvana Mangano, Claudia Cardinale o Monica Vitti perché non c’è star che non sia stata immortalata da Chiara Samugheo, la prima donna in Italia a diventare fotografa professionista.
Ma chi era, invece, Chiara Paparella? Una ragazza che si era stufata di vivere a Bari, dove ai tempi – rivela – se non ti sposavi, eri emarginata dalla società che ti bollava col marchio di zitella. Per tacere delle libertà negate: la mia famiglia mi proibiva anche di giocare a tennis, visto che l’ambiente era soprattutto maschile. Finché con la scusa di andare a trovare due zii paterni, a Varese e Como, a Bari non ci sono più tornata.
“Scappai a Milano, dove mi ha cambiato la vita” – racconta – “l’incontro con quello che sarebbe diventato poi il mio compagno: Pasquale Prunas, fondatore della rivista Sud sulla quale scrivevano Domenico Rea e Francesco Rosi. Ci conoscemmo a casa di amici, in un salotto frequentato dall’entourage culturale milanese, e fu Pasquale a suggerirmi di provarmi come fotografa. Avevo bisogno di un lavoro, visto che i miei genitori, pur di farmi tornare a Bari, mi avevano tagliato i viveri. Finché a Prunas, nel 1953, non viene affidata la direzione di nuovo giornale diviso fra cronache cinematografiche, attualità e politica. Si chiamava Le Ore e sulle sue pagine vi scrivevano personaggi come Salvatore Quasimodo e Anna Maria Ortese”.
“Accettai così di provarmi fotografa e – ricorda – il primo servizio che mi venne affidato fu un reportage a Predappio sulla famiglia di Mussolini e poi, ancora, le baraccate di Napoli e le invasate di Galatina. Ho fotografato il tarantismo, insomma, ben prima che De Martino lo scoprisse”.
E il cambio di cognome? “Paparella suonava male e con Pasquale, che era peraltro sardo, confida – ci ritrovammo, giocando con la cartina della Sardegna, a scegliere il nome di un paese, Samugheo appunto. Il resto è storia. Dopo aver fotografato Maria Schell nel ’57 al festival di Venezia per Cinema Nuovo, che ne fece la copertina, diventai, mio malgrado fotografa delle star. Tanto che ho pubblicato circa un migliaio di copertine per riviste come Stern, Paris Match, Epoca, Life, Vanity Fair, Vogue. Mi hanno dato da vivere, certo, ma il mio sogno era fare la fotoreporter”.
Ma tant’è. Fino al 21 Febbraio, lo Studio d’arte Interno 11, in Via Castiglione 27 a Bologna ospita la personale Divini – Lo scatto che rende immortali. Fotografie dei protagonisti del cinema internazionale dagli anni Cinquanta ad oggi. Mentre a Bari? È singolare la vicenda di questa signora della fotografia che pure ha esposto al Guggenheim di New York o al palazzo del festival di Cannes, in quella stessa Francia dove ha eletto dimora da una quindicina d’anni a Nizza. “Non mi hanno mai cercato da Bari e – dice Samugheo, che di fotografare non vuole saperne di smettere – “ho esposto le mie foto solo una volta, una vita fa in Pinacoteca e grazie ai buoni uffici di Stefano Romanazzi. Ho un sacco di materiale, anche inedito, e sarei felice se trovasse una casa proprio nella mia città. Non mi dispiacerebbe, anzi, aprire una fondazione a Bari ma, da sola, non ne sarei mai capace”.
Per info: www.studiodarteinterno11.com