Che Ilda Boccassini e Luciano Gallino si siano messi d’accordo in questi giorni per bastonare a mezzo intervista Antonio Ingroia? Solo un cospirazionista folle potrebbe pensarlo. Anche perché le dichiarazioni odierne della grintosa magistrata milanese (“Vergogna, non sei come Falcone”) sono apparse su la Repubblica, la testata maggiormente impegnata nella campagna pro-Bersani; quelle di ieri del sociologo torinese (“io voto Sel”) nel sito di MicroMega, spazio non certo ostile nei riguardi del leader di Rivoluzione Civile. Altrettanto di certo inducono a pensare entrambe le esternazioni. Gallino era stato uno dei più autorevoli promotori di quell’iniziativa (“Cambiare si può”) che inizialmente avrebbe dovuto fungere da momento fondativo di una lista colore dell’arancio come movimento di liberazione dagli orrori economici e dalla macelleria civile di questi anni; scempi prodotti dalla corporazione del potere avvolgendoli nella chiacchiera mainstream di un liberismo per adenoidei e vari cretinismi.

Iniziativa – tra l’altro – che intendeva offrire un’alternativa di sinistra sociale al protagonismo io-maniaco e di confusa collocazione (oltre che sospettabile di attenzioni al profit oriented) proprio del cerchio magico beppegrillesco. Quando – invece – ha prodotto uno speculare protagonismo; che scoraggiava sul nascere le intransigenze disinteressate (oltre a Gallino, Marco Revelli e Paul Ginsborg, tra gli altri); rivelandosi – semmai – molto utile per imbarcare gli appannati sogni di gloria di colleghi ex magistrati del leader: gli Antonio Di Pietro e i Luigi De Magistris in ansiosa ricerca di rilancio. Le parole della Boccassini declinano nello stile, tendente allo scostante, della giudice argomenti che nei giorni scorsi avevano già avanzato altri magistrati tuttora in campo, tra i più rispettabili della categoria e non tentati minimamente da avventure personalistiche; anzi, sempre consapevoli del proprio ruolo e delle perversioni potenziali insite nella seduzione di mettere all’incasso la visibilità pubblica derivata da certi processi: Armando Spataro e Anna Canepa. Le cose dette da Spataro e Canepa potrebbero essere lette come una più che opportuna messa in guardia dai deliri di onnipotenza che affliggono certi personaggi sovra esposti mediaticamente, come nel caso Ingroia. E – ovviamente – Grillo.

Allora – ciò detto – si dovrebbe rifluire sotto le insegne della politica politicante e dare il proprio voto a un bel mazzo di gattemorte? Oppure – orrore degli orrori – sarebbero da prendere minimamente sul serio le frasi senza senso dell’ormai incartapecorito Berlusconi (che tratta Mussolini e Balotelli alla stessa stregua, come raschietto per il fondo del barile dei consensi; secondo convenienza propria e sulla base di indicazioni dei consulenti in Mktg politico)? Nient’affatto, neppure per sogno. Solo si consiglia un uso politico accorto, di tali deliri d’onnipotenza. Per ottenere risultati inintenzionali rispetto agli obiettivi dei deliranti. Quindi, un utilizzo strumentale: trattarli come pacchetto di mischia o – se volete – da rompighiaccio lanciati contro il blocco politico vigente (di collusi, al di là delle sceneggiate). Anche perché solo l’uso strumentale potrà consentirci un costante controllo critico degli effetti prodotti. Purtroppo – nell’Italia dei Capuleti e dei Montecchi, degli juventini e degli interisti fanatizzati – prevale l’altro approccio, quello dell’immedesimazione fideistica; con effetti che oscillano tra uno jihadismo da bombe umane e il tifo da stadio, che produce la metamorfosi regressiva in ultras spaccatutto della curva. Dunque, un uso di tipo settario. Sicché mai come in questo momento sarebbe essenziale una laicizzazione della politica. Mai come in questo momento la laicità come forma mentis (di quelli “che non se la bevono”) risulta sotto minaccia.

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