Il jet lag provocò il mio primo sbadiglio al Pechino International Airport, una superficie in grado di accogliere flotte di airbus delle compagnie aeree più grandi al mondo, scalo dei businessman del momento.
Il tre dicembre del 2007 a Beijing, che è come scrivere Pechino in italiano, era una rarissima giornata soleggiata, notte inoltrata per il mio orologio biologico.
L’agente della dogana sfogliò velocemente i documenti e mi indicò la via d’uscita. Percorsi un corridoio largo come un tratto di autostrada e presi il mio primo taxi.
Oltre all’odore intenso e al traffico automobilistico, più di 17 milioni di abitanti, Pechino si faceva notare per gli enormi cantieri dei grattacieli in costruzione. Un segnale glamour di una Cina nel pieno del boom economico che aveva avviato il conto alla rovescia per l’apertura dei giochi olimpici del 2008. All’insegna della ipermodernizzazione le ruspe radevano al suolo anche i tradizionali hutong dove abitavano i cinesi meno abbienti, vittime di espropri senza alcuna possibilità di opporsi.
All’epoca si parlava già dei primi fondi sovrani cinesi. Il più grande era il China Investment Corporation con una disponibilità economica quasi illimitata. Ma ne esistevano anche altri degni di segnalazione come il Safe Investment Company affezionato soprattutto ai prodotti finanziari.
Nel 2007 gli investitori cinesi guardavano all’occidente, con particolare interesse all’Europa. Le grandi law firm italiane aprivano le loro filiali a Pechino, e forse per prime si accorsero di qualche anomalia: “i cinesi si stanno espandendo a macchia d’olio, arrivano in Europa pieni di soldi ma delle loro ricchezze non sempre se ne conoscono le origini” mi confessò un collega trapiantato da anni a Pechino.
“Riciclaggio” pensai e probabilmente non pensavo male.
Negli ultimi anni vi sono state indagini importanti che hanno messo in risalto le attività illecite di organizzazioni criminali cinesi. Attività soprattutto di riciclaggio di denaro. Di questo se ne parla in un capitolo delle 849 pagine dell’ultima relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia.
“Cian Liu” per fare un esempio, è il nome di un’indagine riguardante il riciclaggio di 4,5 miliardi di euro ad opera di un’organizzazione avente caratteristiche mafiose, Money to Money. In questa operazione sono state avanzate richieste di sequestro preventivo nei confronti di esponenti della filiale italiana della Bank of China. La sorpresa è che un filone dell’indagine di riciclaggio tocca anche la piccola Repubblica di San Marino con richieste di rogatorie tuttora in corso.
Ma non facciamo di tutta un’erba un fascio.
E’ notizia dell’altro giorno che il The Maxdo Group Limited colosso finanziario cinese con sede a Hong Kong, ha inserito nella propria scacchiera San Marino e che ha interesse ad aprirvi una banca d’affari. Una base sul Monte Titano per investire negli Stati del G20 ma anche nelle infrastrutture e nelle finanze del paese ospitante. Memore di quanto accaduto negli ultimi tempi e del crollo impressionante del Pil del piccolo paese nel 2012, c’è chi si è domandato quale convenienza avrebbero quelli del Maxdo Group ad aprire proprio a San Marino una banca d’affari. C’è chi ritiene che il contributo del Maxdo a ricapitalizzare le sorti del paese, derivi dalla posizione strategica della piccola Repubblica in Europa e dai vantaggi di un regime fiscale agevolato. I più scettici, si domandano se questa operazione non renda più difficile per San Marino la sua uscita dalla black list.