Premesso che non si sentiva sicuramente il bisogno dell’irruzione in campagna elettorale di uno scontro frontale tra il leader di Rivoluzione Civile ed un magistrato valoroso come Ilda Boccassini, promotrice dello scontro, non si può nemmeno ignorare che Antonio Ingroia da prima dell’inizio della campagna elettorale è stato “accolto” trasversalmente come un candidato abusivo ed un fastidioso alieno.
Fare l’elenco degli attacchi subiti da parte di molti magistrati che non hanno avuto nulla da ridire sulla candidatura nel Pd di Piero Grasso (al di sopra sempre e comunque di qualsiasi valutazione critica), delle irrisioni dei politici che non si esauriscono certo nel saluto “manettaro” di Berlusconi e della sufficienza a tratti irridente con cui viene trattato nei salotti televisivi, sarebbe troppo lungo.
Personalmente sono rimasta particolarmente colpita dal trattamento che gli ha riservato nella scorsa puntata di Servizio Pubblico quello stesso Michele Santoro che aveva eretto una barriera difensiva impenetrabile a beneficio di un personaggio come Briatore; infatti ha lasciato campo libero al duo della “ex pupa” Carfagna e della “secchiona” bocconiana Comi senza intervenire se non per fare battutine ed ammiccamenti sulla presunta disinvoltura da politicante navigato acquisita da Ingroia in poche settimane di campagna elettorale.
Ho voluto citare questo episodio come esemplificativo del “clima” nei suoi confronti, al di là delle valutazioni che ognuno può dare sull’opportunità della sua scelta, per contestualizzare la polemica, forse mediaticamente sovradimensionata, con Ilda Boccassini.
Probabilmente Ingroia avrebbe fatto bene a non aggiungere altro a quello che in modo puntuale ma pacato, dopo le precedenti dichiarazioni, aveva ripetuto nell’intervista da Giovanni Floris a Ballarò e cioè che il paragone non era tra la sua statura di magistrato e quella di Falcone, ma tra le reazioni analoghe, ovvero “lo stesso copione”, dinanzi a scelte di natura politica: la sua attuale candidatura e la guida degli affari penali con Martelli per Falcone.
Poi, all’intervento sprezzante di Ilda Boccassini che gli aveva dato letteralmente “vergogna” per aver paragonato ” la sua piccola figura a Falcone”, si è aggiunto quello ancora più inopportuno di Maria Falcone che l’ha accusato “di usare il nome del fratello per prendere voti” . E così la risposta di Ingroia è stata inevitabile, dato che l’attacco veniva da una signora che ha sempre ritenuto opportuno celebrare la strage di Capaci con i più impresentabili sepolcri imbiancati della prima e seconda Repubblica e anche tentare una elezione al parlamento europeo fondata su una popolarità ottenuta sul fronte dell’antimafia.
Adesso con l’ultimo invito rivolto da Ingroia a Ilda Boccassini a “riflettere prima di sparare a zero” e con la chiosa definitiva “mi basta pensare cosa pensava di lei e cosa pensava di me Paolo Borsellino” ci auguriamo che la polemica sia definitivamente conclusa; che l’ultimo scorcio di campagna elettorale non ci riservi niente di analogo; che Antonio Ingroia sia infine considerato un candidato come gli altri e non un pària.
Magari se entrambi i contendenti avessero considerato il divertimento insperato che probabilmente avranno procurato a chi li definisce indifferentemente “un cancro della democrazia” o “un pericolo per il Paese” e vorrebbe vederli entrambi in galera al posto suo, avrebbero rispettato di buon grado la sana “regola del silenzio”.