A Rimini si scopre che il presidente di una partecipata del Comune ha ben due condanne sul groppone. Sentenze non definitive, ma un po’ odiose per un manager pubblico: nel 1997 c’è una condanna in primo grado ad un anno e sei mesi per le tangenti della metropolitana di Milano, nel 2009 c’è una condanna a due anni con la condizionale- in ballo una tangente ad alcuni uomini dell’agenzia delle Entrate per favori alla Milano Logistica spa- che attende il verdetto della Cassazione. In due giorni il dossier viene spedito da un consigliere di minoranza al sindaco, che si informa e decide: quel signore non può restare al suo posto.
Il diretto interessato è (stato) un super amministratore delle coop rosse e si chiama Giovanni Panciroli: reggiano di 63 anni, è stato nominato presidente della società delle terme riminesi nel 2005- quando il sindaco di Rimini era l’allora Margherita Alberto Ravaioli– e negli anni ha collezionato una sfilza di incarichi. Panciroli è stato responsabile del progetto di riqualificazione della ex colonia Novarese e dell’attuale edificio talassoterapico nella zona sud di Miramare; tra i responsabili della costruzione di numerosi centri commerciali in diverse città italiane Rimini compresa; assistente al direttore generale di Coopsette con delega alle gestioni del benessere, alberghi e parcheggi; manager di Coopsette per il project di riqualificazione del lungomare di Rimini su progetto dell’atelier Jean Nouvel. Panciroli è socio della società Miramare Wiva ed è stato nominato membro della giunta di Confindustria Rimini per il biennio 2012-2014.
Le prima condanna a carico di Panciroli arriva nel 1997: un anno e sei mesi di reclusione per corruzione con sentenza dell’ottava sezione penale del Tribunale di Milano. La vicenda è quella raccontata dal Corriere della Sera il 17 luglio 1997 (“Le tangenti sulla Metropolitana milanese. Nuove condanne per le cooperative rosse” il titolo): secondo l’accusa sostenuta dal pm Paolo Ielo, gli imputati avevano elargito tre miliardi di lire di tangenti al Pci ed al Psi per poter ottenere gli appalti della metropolitana di Milano. Sempre col Corsera si arriva al 10 novembre 2009: in un pezzo intitolato “Bustarella anti-fisco: 3 condanne”, si raccontava di una tangente da 50 mila euro a tre dirigenti dell’agenzia delle entrate per conciliare con 494 mila euro un contenzioso fiscale di 3,3 milioni della Milano Logistica spa (allora appartenente per metà al gruppo Gavio e per metà alle coop emiliane) per la quale, tra le altre condanne, Panciroli si è preso due anni con la condizionale.
Di tutto questo il consigliere riminese della lista Sel-Fare Comune, Fabio Pazzaglia, ha informato il sindaco Pd Andrea Gnassi chiedendogli di far dimettere il presidente (nelle terme il Comune ha solo il 5%). Panciroli a poche ore dall’uscita di Pazzaglia, lunedì, ha reagito senza opporre resistenza: sostenendo che la prima condanna è caduta in prescrizione e che la seconda è in attesa del verdetto della Cassazione, l’ingegnere emiliano si è detto “a disposizione” degli azionisti e ha chiarito che al tempo “non ho scelto io questo ruolo, mi è stato affidato dai soci che conoscevano la mia posizione”. Di lì a poco, ha avuto un colloquio con i vertici di Rimini Holding (la scatola delle partecipate comunali) di cui ha riportato l’esito l’assessore al Bilancio Gian Luca Brasini: “Gli abbiamo chiesto un passo indietro e alla prossima assemblea dei soci rassegnerà le sue dimissioni. Non conoscevamo il suo caso, c’è un problema di opportunità”.
A quel punto, Pazzaglia ha chiesto a Gnassi una commissione d’inchiesta comunale: “Le chiediamo- si è rivolto il primo al secondo- di prendere insieme a noi la responsabilità di indagare sul perché di quella nomina così palesemente inopportuna. Quali erano gli amministratori pubblici del Comune di Rimini al corrente della situazione giudiziaria del Panciroli? Perché nonostante questo decisero di tacere e procedere con la nomina a presidente di Riminiterme?”. Se le speranze che il sindaco proceda- rinfocolando così la polemica- non sono tante, tutti in Comune sperano che, almeno prima delle elezioni, dalle partecipate non arrivino altre sorprese.