Ieri, aerei israeliani si sono alzati in volo e hanno colpito un convoglio di armi che transitava sul confine siriano diretto in Libano. Alcune fonti parlano di una partita di missili SA-7 diretti a Hezboallah – maggiore beneficiario di aiuti siriani e iraniani. Sempre ieri, secondo quanto riferisce l’agenzia stampa governativa siriana, SANA, aerei israeliani hanno sorvolato i cieli siriani ad alta quota, eludendo i radar, e avrebbero bombardato un centro di ricerca scientifico nella zona di Jamraya, periferia di Damasco.
Non è certo la prima volta che aerei israeliani compiono bombardamenti mirati in Siria. Negli anni precedenti era accaduto diverse volte, l’ultima nel 2007, senza che il governo di Damasco rispondesse. Domenica il neo-primo ministro Netanyau aveva espresso le sue preoccupazioni che le armi chimiche sotto il controllo del governo siriano potessero passare nelle mani di Hezboallah(alleati di Assad) o in quelle di gruppi estremisti slegati dall’Esercito Libero. Nei giorni scorsi, contro queste possibilità, Nethanyau si era incontrato con Dan Shapiro, ambasciatore Usa in Israele, e aveva mandato il consigliere per la sicurezza nazionale a Mosca. E’ difficile immaginare cosa il governo di Damasco e l’Iran -che qualche giorno fa dichiarava che attaccare la Siria equivale ad attaccare l’Iran- faranno nelle prossime ore. Nella peggiore delle ipotesi ci si può aspettare un allargamento del conflitto siriano in tutta l’area. In tutti i casi, i destini di Damasco e Teheran, questa “Asse di ferro”, rimangono legati.
In questi due anni, di certo le rivoluzioni nei paesi arabi non hanno fatto bene a Israele che ha visto accrescere la sua sindrome d’accerchiamento, a causa della scomparsa di alcune dittature e il sovvertimento dello status quo.
Mi sembra inevitabile sottolineare che Assad a Homs, e non solo, ha già adoperato le armi chimiche, ma per la comunità internazionale (figurarsi per Israele) fino a che vengono usate contro la popolazione siriana, questo non sembra costituire un problema degno di nota.