Un miliardo e mezzo di sterline. È la cifra che le banche del Regno Unito potrebbero arrivare a spendere per rimborsare una clientela di piccole imprese travolta dalle perdite sul fronte dei derivati. Con una nota diffusa oggi, la Financial Service Authority britannica (FSA) ha confermato l’intenzione di quattro società finanziarie, Royal Bank of Scotland (RBS), Barclays, HSBC e Lloyds, di effettuare i risarcimenti sui contratti di vendita con la clientela che, nello scorso mese di giugno, erano finiti nel mirino della stessa FSA. Gli istituti Allied Irish Bank, Bank of Ireland, Clydesdale and Yorkshire, Co-Operative Bank e Santander UK sono tuttora sotto la lente dell’Authority.
A colpire i regolatori era stata l’eccezionale complessità dei contratti, prodotti finanziari estremamente intricati presentati ai loro acquirenti (piccole attività commerciali e bed and breakfast ad esempio) senza le dovute spiegazioni sui loro potenziali rischi. Una carenza informativa, ha precisato la FSA, riscontrata in oltre il 90% delle 173 transazioni analizzate. RBS, Barclays e HSBC hanno già accantonato, secondo la stampa britannica, 630 milioni di sterline per il risarcimento. La notizia costituisce l’ennesima tegola sulla credibilità del sistema bancario inglese, già travolto dallo scandalo sulla vendita, anch’essa molto opaca, delle assicurazioni sui mutui che, ad oggi, ha già costretto gli istituti a mettere da parte 9 miliardi destinati ai rimborsi.
A mandare in crisi i clienti delle banche, in questa occasione, sono stati i contratti di hedging sui tassi di interesse. L’obiettivo delle operazioni consisteva infatti nel garantire agli acquirenti la possibilità di fissare un limite al tasso di interesse sui prestiti contratti in precedenza. In pratica un’assicurazione contro il rischio di un’impennata dei tassi. Solo che l’operazione, che ha coinvolto titoli particolarmente complessi da gestire, è risultata a conti fatti un classico boomerang. Quando i tassi variabili sono crollati, i contratti si sono svalutati e i clienti si sono ritrovati a sostenere interessi superiori a quelli che avrebbero dovuto pagare in circostanze normali, ovvero se non avessero sottoscritto il derivato. Insomma, una tipica scommessa sbagliata.
La storia sa di già sentito e non potrebbe essere altrimenti. La volatilità dei tassi di interesse rappresenta da sempre la principale preoccupazione degli operatori che scelgono di investire sui derivati. Nel novembre del 2012, data dell’ultima rilevazione disponibile, la Banca dei Regolamenti Internazionali stimava in quasi 638 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari il nozionale complessivo dei derivati circolanti nel mondo. Di questi, quasi 500 erano costituiti dai soli prodotti assicurativi sui tassi di interesse. Negli ultimi anni le scommesse sul loro andamento si sono rivelate spesso errate producendo perdite sulle operazioni di copertura e ristrutturazione debitoria.
Ne sanno qualcosa gli enti pubblici italiani la cui vicenda, tra errori di valutazioni e informazioni inadeguate, sembra ricalcare quella dei piccoli imprenditori del Regno Unito. Gli interest rate swaps, ad esempio, sono stati all’origine del disastro derivati del Comune di Milano che, per proteggere una maxi obbligazione da 1,68 miliardi, si è trovato ad affrontare una perdita supplementare da 100 milioni. Il processo di primo grado ai danni delle banche si è concluso a dicembre con una condanna per queste ultime. Ma le scommesse sui tassi di interesse rientrano anche nella disgraziata vicenda Monte Paschi, con la banca senese protagonista nel 2009 di un terrificante swap sul suo portafoglio Btp (ne ha per circa 25 miliardi) che l’avrebbe portata in definitiva a ricevere un premio minimo (65 milioni nei primi nove mesi del 2012) perdendo, al tempo stesso, circa 1 miliardo all’anno di interessi sulle cedole che avrebbe incassato se non avesse scommesso sui derivati.