Scuola

Università, per i baroni la sveglia arriva dai precari

“Quando si accende il fuoco sotto la pentola, l’acqua comincia a bollire dal basso” (cit.).

Un messaggio dal fondo della pentola, di Sofia Venturoli e Javier Gonzàlez Dìez.

Immaginate una disciplina che all’estero sia prestigiosa e ascoltata, ma che in Italia sia minoritaria e screditata nonostante le sue autorevoli origini. Immaginate che questa disciplina a stento riesca a fare qualche passo precario fuori dalle mura dell’accademia e che il suo peso nella società e nel dibattito pubblico italiano sia pari a zero, nonostante sia molto di moda dalla tv ai salotti buoni riempirsi la bocca con la affermazione: “è una situazione antropologicamente…”, ma cosa vorrà poi mai dire…Immaginatevi che i suoi laureati e dottori di ricerca non abbiano un riconoscimento professionale e non riescano nemmeno a insegnare la loro materia nelle scuole superiori. Immaginatevi anche che, come nella miglior tradizione delle minoranze, all’interno dell’accademia essa sia lacerata e divisa da lotte intestine e abbia non una, ma ben due associazioni di categoria che si contendono la scena. Una scena d’altronde sempre più ristretta sulla quale rischia di calare definitivamente il sipario anche grazie alla “razionalizzazione” dei settori disciplinari e dei dottorati di ricerca avviata dalla legge Gelmini (il dottorato di ricerca in antropologia è sparito dalla lista del Miur delle potenziali titolature dei Corsi di Dottorato Ammissibili).

Ecco, se riuscite a immaginarvi tutto ciò allora potrete familiarizzare facilmente con l’antropologia italiana e, allo stesso tempo, capire come mai un gruppo di “diversamente giovani” e precari della disciplina abbia deciso di lanciare un appello per cercare di cambiare le cose: un appello peraltro condiviso anche da alcuni antropologi pienamente strutturati all’interno dell’università.

Il documento ha raccolto in qualche settimana oltre 120 firme ed è stato presentato venerdì 25 gennaio alla riunione congiunta delle due associazioni di categoria (Aisea e Anuac), finalmente riunite di fronte alla prospettiva reale, e quasi certa, di sparizione dell’antropologia in Italia. In una delle due presentazioni sulle condizioni della disciplina, che hanno preceduto il dibattito dell’assemblea dei soci, si sono dati i numeri! Nella slide che presentava le divisioni sul territorio dei 164 strutturati in tutta Italia, tra ordinari, associati e ricercatori, nessun cenno è stato dedicato alla “massa” di precari presenti in ogni meandro del territorio dentro e fuori dall’accademia: nessun numero, ma neanche nessun riferimento a coloro i quali sono spesso i più stretti collaboratori di chi stava parlando e ascoltando proprio in quel momento. Il cenno lo abbiamo fatto noi: siamo qui e siamo tanti, ben più di 100. In questo preciso momento stiamo raccogliendo nuove adesioni, altri antropologi sottoscrivono il documento di denuncia.

Un dialogo si è aperto: un dialogo flebile, complesso e che viaggia spesso su binari e su linguaggi diversi, ma si è aperto, forse per reciproca necessità. Per la prima volta ci sarà una rappresentanza “di quelli fuori dai giochi” nella commissione che dovrà affrontare molte delle urgenti vertenze ora sul tavolo per la nostra disciplina. Che cosa si augurano dunque i firmatari di questo documento? Che i detentori del potere accademico nel settore antropologico capiscano che per sopravvivere l’antropologia italiana dovrà cambiare radicalmente le sue pratiche e ripensare il proprio ruolo nel panorama italiano, sia dentro sia fuori dall’accademia.

Nel devastato panorama di macerie dell’università post-gelminiana non è più tempo di certe logiche e di certe dinamiche: dopo decenni di silenzio complice da parte nostra, ora abbiamo preso voce e la useremo. E’ significativo che questa richiesta arrivi “dal basso”, analogamente al grande movimento che in questi ultimi anni ha cercato di cambiare l’università italiana partendo dagli sforzi di studenti, precari e ricercatori. Forse l’antropologia non è l’unica disciplina in Italia a essere profondamente in crisi: la nostra speranza è che il processo di autocoscienza che ora la attraversa non si arresti e possa essere l’inizio di un cambiamento condiviso con altri ambiti disciplinari.

Sofia Venturoli

Javier Gonzàlez Dìez

Contatti: antropologiaprecaria@googlegroup.com. Si può richiedere di iscriversi al gruppo e firmare.