Per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) è una delle tre più serie minacce alla salute pubblica globale, capace di provocare ogni anno 25 mila morti nella sola Unione europea. “Uno scenario apocalittico” si è spinto a definirlo nei giorni scorsi il ministero della salute inglese. È il problema dell’antibiotico-resistenza, principale causa della gran parte delle infezioni ospedaliere. Una questione che riguarda da vicino anche l’Italia. Anzi, secondo gli ultimi dati dell’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) – il centro di sorveglianza epidemiologica europeo – pubblicati lo scorso novembre, il nostro è tra i Paesi europei con i livelli più alti di resistenza agli antibiotici. Ne è un esempio la frequenza, in continua crescita, di Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (Mrsa) – uno dei superbatteri più pericolosi – pari al 38 per cento nel 2011, contro una media europea inferiore al 20. Adesso gli scienziati hanno forse trovato un’arma in più per arginare questa emergenza sanitaria.

Un’equipe di ricercatori americani della University of North Carolina a Chapel Hill è riuscita a sintetizzare, come illustrato in uno studio pubblicato sui “Proceedings of the national academy of sciences (Pnas)”, una molecola in grado di bloccare l’attività dell’enzima indispensabile ai batteri per scambiarsi informazioni, sottoforma di geni, su come bypassare l’azione degli antibiotici. “Ci siamo concentrati su alcuni ceppi di Staphylococcus aureus – afferma Jonathan Edwards, che coordina il gruppo di ricerca – perché in questo ceppo è stato isolato il primo elemento genetico in grado di conferire la resistenza”.  

I geni per la resistenza agli antibiotici sono localizzati in piccole sequenze di Dna circolare, i plasmidi, che i batteri sono in grado di trasferirsi l’un l’altro attraverso contatto diretto. Per farlo, però, hanno bisogno di mediatori. Gli studiosi hanno scoperto che un ruolo essenziale è svolto da un enzima, detto Nes, che opera una sorta di taglia e cuci nelle sequenze di Dna, consentendone lo scambio tra cellule batteriche differenti. Attraverso sofisticate tecniche di cristallografia e diffrazione ai raggi X, che consentono di ricostruire la struttura tridimensionale delle proteine, Edwards e colleghi sono riusciti a individuare due regioni chiave dell’enzima. E, adoperandole come modello, sono stati in grado di disegnare un polimero sintetico capace di legarsi al Dna, creando un blocco che riduce del 90 per cento il trasferimento genico.  

L’incubo di un ritorno ai tempi antecedenti la scoperta della penicillina da parte di Alexander Fleming, è stato alimentato negli anni dall’uso indiscriminato di antibiotici, spesso adoperati per infezioni virali contro le quali sono inefficaci. Ma anche le case farmaceutiche non sono esenti da colpe. Il costo per la realizzazione di un nuovo antibiotico è, infatti, piuttosto elevato, all’incirca 640 milioni di euro dall’ideazione alla commercializzazione, per cui spesso le compagnie di Big Pharma preferiscono investire su altri tipi di farmaci. Difatti, dal 2009 solo due nuove molecole sono state immesse sul mercato. Un dato che ha spinto l’Infectious diseases society of america (Idsa), l’agenzia americana per le malattie infettive, a lanciare un progetto, la “10×20 iniziative”, per la realizzazione di dieci nuovi antibiotici entro il 2020. La nuova ricerca Usa potrebbe in futuro inserirsi in questo percorso. “Il nostro risultato è davvero promettente – sottolinea Edwards -, perché potrebbe portare nei prossimi anni allo sviluppo di nuovi metodi per bloccare la propagazione della resistenza agli antibiotici, inibendo così il trasferimento dei geni da un batterio all’altro”.

L’abstract dell’European Centre for Disease Prevention and Control

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