“Ho comprato le azioni a 30 euro prima del crollo e mi sono ritrovato con il cerino in mano. Sono un ingenuo, ci sono cascato in pieno”. Si può riassumere anche così la vicenda che ha travolto la società petrolifera Saipem, nelle parole di un piccolo azionista che oggi si è presentato davanti alla Consob di Milano mentre venivano interrogati i dirigenti dell’azienda per un presunto caso di insider trading avvenuto settimana scorsa, dove una soffiata proveniente dai piani alti del gruppo potrebbe avere fatto scattare le vendite di qualche investitore privilegiato. Ma le brutte sorprese per gli azionisti della società controllata da Eni e, quindi, semi-pubblica, rischiano di non finire qui. Gli analisti di Bloomberg hanno infatti tagliato del 6,7% le previsioni sui dividendi del 2012 e del 59% quelle relative all’anno successivo. Tempi magri, quindi, anche da quella che sembrava una fonte certa di entrate per lo Stato che controlla Saipem via Eni.
Non solo. Il sospetto è che si sia di fronte a un nuovo vaso di Pandora, come sostiene tra gli altri uno studio di Société Générale, nel quale la banca francese promuove il titolo Saipem a ‘buy’ da ‘hold’. Ma sottolinea che non si possono escludere altre “brutte notizie” e che la società petrolifera italiana porta con sé un “rischio maggiore” rispetto agli altri titoli del settore. “Ci sono molte ragioni per essere preoccupati riguardo la vicenda Saipem”, avverte il report, sollevando preoccupazioni per l’intero settore petrolifero europeo, alla luce dell’aumento delle estrazioni negli Stati Uniti. “Gli investitori non devono essere ingannati”, spiegano gli analisti, “quando siamo di fronte a uno scivolone così, solitamente serve molto tempo per riprendersi”. Secondo l’istituto francese è infatti “improbabile che la società torni alle condizioni precedenti al crollo nei prossimi 12-18 mesi”.
L’indagine della Consob, come ha spiegato lo stesso organo di controllo, riguarda un possibile caso di abuso di mercato e insider trading, ma l’incontro con il vertice della società “potrebbe portare ad altri elementi e nuove piste da seguire”. I dirigenti del gruppo controllato al 42,93% da Eni – l’amministratore delegato di Saipem, Umberto Vergine, e il direttore finanziario, Stefano Goberti – sono stati interrogati, in un incontro durato oltre due ore, per fare luce sulle modalità di diffusione dell’allarme sui profitti attesi per il 2013 che mercoledì 30 ha fatto scattare la pioggia di vendite a Piazza Affari. Ad attirare l’attenzione degli organi di vigilanza è stata in particolare la “coincidenza sospetta”, come l’ha definita la stessa Consob, di un’operazione gestita dal colosso americano Bank of America-Merrill Lynch.
Tutto è partito martedì scorso, quando Saipem ha rivisto al ribasso le stime sull’utile operativo del 2012 a circa 1,5 miliardi di euro (-6% rispetto a quanto annunciato in precedenza), spiegando di attribuire tale decisione al rallentamento degli ordini nell’ultimo trimestre e alle negoziazioni di nuovi contratti “che si concluderanno con esiti inferiori alle previsioni”. Un vero e proprio profit warning, o allarme utili, come si chiama in gergo, che ha causato il crollo del titolo, che mercoledì scorso ha perso il 34,29%, bruciando in un colpo solo circa 4,7 miliardi di valore. Ma la Consob indaga su un dettaglio particolarmente sospetto. Poche ore prima dell’allarme sugli utili, infatti, uno o più investitori istituzionali avevano già venduto il 2,3% delle azioni della società, con un’operazione gestita da Bank of America-Merrill Lynch. Una manovra con una tempistica fin troppo fortunata, che ha sollevato perfino l’attenzione della vigilanza dei mercati.
A fare luce sul possibile caso di insider trading cercherà di rispondere anche la britannica Financial Services Authority (Fsa), che nell’ambito della collaborazione internazionale è pronta ad avviare un’indagine sul collocamento organizzato dalla banca americana, realizzato a Londra per conto di uno o più soggetti, di cui la banca d’affari non ha voluto rivelare l’identità. I fondi di investimento che hanno comprato le azioni, nel caso in cui venisse accertato un caso di insider trading, potrebbero chiedere l’annullamento della vendita del pacchetto azionario. Un’azione legale, questa, che si assocerebbe all’inevitabile azione penale per il reato di aggiotaggio.
Le ripercussioni del profit warning annunciato da Saipem hanno influenzato anche il titolo Eni, che il 30 gennaio ha perso il 4,71%, mandando in fumo circa 2 miliardi euro. Il direttore finanziario del colosso energetico, Massimo Mondazzi, ha spiegato nei giorni scorsi che la revisione delle stime al ribasso sull’utile 2012 e su ricavi e profitti 2013 annunciati da Saipem avrà un impatto per la controllante Eni di 200 milioni di euro nel 2013, circa il 3% dell’ultimo utile annuale. Ma il mercato teme che ci possa essere dell’altro. E che, soprattutto, le ripercussioni sui dividendi della controllante Eni vadano ben oltre la cifra dichiarata dal gruppo guidato da Paolo Scaroni.
La vicenda Saipem, tuttavia, non riguarda soltanto la possibile fuga di notizie che ha anticipato il crollo in Borsa. Martedì scorso, come annunciato dalla stessa Saipem, all’ex ad della società controllata dall’Eni, Pietro Franco Tali, è arrivata un’informazione di garanzia dalla Procura della Repubblica di Milano, a seguito dell’indagine avviata nel febbraio 2011 in merito a presunti reati di corruzione in Algeria compiuti nel 2009. Tali, che si era dimesso a dicembre scorso, non era stato raggiunto finora da avvisi di garanzia. Nel 2009 Saipem si era aggiudicata un contratto da 580 milioni di dollari dal gruppo algerino Sonatrach per la costruzione del terzo lotto del gasdotto Gk3 su cui ha avviato indagini anche la magistratura algerina. Su questa vicenda in Algeria è già stata aperta un’inchiesta dalle autorità locali nel 2010, che poche settimane fa ha portato alle dimissioni del presidente del gruppo algerino Mohamed Meziane, più altri quindici dirigenti accusati di corruzione e di malversazione.