"L'allevatore di farfalle" è l'opera seconda di Stefano Bruccoleri, bolognese d'adozione: “Sono sfacciato, spudorato, ineducato. Scrivo tutto, dalle infrattate nei parchi con sconosciuti ai momenti più sereni. Non si possono sciupare le parole, io le uso per raccontarmi”
Senza le sue storie forse sarebbe affondato nella vita di strada, la scrittura per lui è una “questione di necessità: la devi soddisfare, perché altrimenti diventi matto”. Lo dice tranquillamente Stefano Bruccoleri, bolognese d’adozione, romanziere, homeless, grande pedalatore e un bisogno di scrittura capace di dare forma alla vita dei vagabondi di città. Senza fare la morale a nessuno e mettendo da parte clichés e buonismi edificanti. “Sono sfacciato, spudorato, ineducato. Scrivo tutto, dalle infrattate nei parchi con sconosciuti ai momenti più sereni. Non si possono sciupare le parole, io le uso per raccontarmi”. Dal 2004 ad oggi Bruccoleri ha percorso in bicicletta circa 27.000 chilometri, accampandosi un po’ ovunque, e ovunque scrivendo. Il risultato è L’allevatore di farfalle (Eris edizioni), un libro autobiografico secco e duro, ma capace di regalare al lettore poesie e una fiaba finale, “perché la vita, nonostante tutto, è piena di farfalle”.
Per Bruccoleri non è il debutto. Nel 2011 è stata pubblicata la sua prima opera, Via della casa comunale n1. Libro inizialmente stampato in proprio, cucito e tagliato a mano, poi diventato un piccolo caso letterario e pubblicato da Ediciclo. L’allevatore di farfalle invece è stato ultimato, “pulito e limato” pochi mesi fa in una casa di Torino, dove l’autore vive ospitato da una onlus. Ma le storie e le poesie sono state scritte nel corso dei suoi anni bolognesi (e piemontesi), pubblicate prima su un vecchio blog ora dismesso, e poi finite in un libro di 150 pagine illustrato da Daniele La Placa.
Di lui Massimiliano Salvatori, operatore sociale bolognese e suo amico, scrive così nella prefazione: “Stefano è sì un cantore dei margini – che sono di quell’Italia fatta di strade provinciali, bar, cinema a luci rosse, centri-massaggi cinesi, reparti psichiatrici, baracche con vista sulla tangenziale – ma è anche uomo da garage, da capolinea, da sesso nei cespugli, ammiratore e innamorato delle mignotte; è boy scout prima ancora che vagabondo; è viaggiatore e mai turista e vorrebbe essere cliente invece di utente”.
“Oltre ai racconti ho scelto anche alcune poesie che il precedente editore ha scartato per scelte editoriali – spiega l’autore -. Poi ci sono alcuni racconti particolarmente duri, che non tutti riescono a digerire”. Questioni editoriali che fortunatamente sono state messe da parte, e che hanno permesso a Bruccoleri di donare a chi legge frammenti di vita da strada, e non solo. “Non volevamo fare il panettone morbido tutto l’anno”, scherza lui. Il risultato è il racconto numero 30, “Saltimbocca alla bolognese”, pagine asciutte che raccontano un pomeriggio in un cinema a luci rosse delle Due Torri.
“Molti per salvarsi dallo schifo di un’esperienza di questo genere archiviano tutto nella memoria breve, che poi scivola via in energiche insaponate e fiumi di acqua, per ritrovarsi etero un attimo dopo sul marciapiede fuori dal cinema”. Bruccoleri scrive e racconta senza morbosità, con l’occhio del sociologo, la penna del cronista più consumato e il gusto del romanziere. Poche pagine per creare personaggi autentici. Dagli anziani che si stringono gli uni con gli altri cercando contatti e carezze dimenticate, alla trans – “un metro e ottanta di transizione rabberciata e mal riuscita” – che arrotonda come può frequentando cinema a luci rosse. “Mi hanno scritto in molti per ringraziarmi. La gente forse fa fatica a raccontarsi, e allora usa il mio libro come uno specchio”.
C’è poi la questione delle istituzioni, ostacolo contro cui bene o male ogni senza tetto è costretto a sbattere. “I servizi sociali prima ti accolgono, poi in qualche modo ti dicono: guardi che non possiamo darle nulla. Sono sieropositivo, ho l’85% di invalidità e non posso avere una casa popolare. I filtri degli assistenti sociali ormai servono a falciare quella che io chiamo carne da sportello. Tu tenti di reclamare un diritto, e loro ti imprigionano in quella trappola che chiamano utenza”. “Mi accadde qualcosa di simile nel 2005 a Bologna quando tentai di entrare nella lista dei dormitori – scrive l’autore – L’operatrice allo sportello mi disse che le liste erano chiuse e che sarei dovuto ripassare in seguito. Mentre uscivo dalla stanza mi richiamò per avere il link del mio blog”.