Marco Cedaro ha 32 anni e un lavoro nuovo di zecca come sviluppatore web a Londra. Dietro un’apparente timidezza nasconde una buona dose di determinazione: qualche anno fa non ha avuto tentennamenti scegliendo di abbandonare l’università per dedicarsi alla sua passione, l’informatica, così come nel 2011 ha lasciato un lavoro a tempo indeterminato (“sei matto”, dicevano gli amici) per collaborare con una promettente start up bolognese. Lo scorso anno, a maggio, ha iniziato a mandare curricula anche all’estero, e in men che non si dica si è trasferito a Londra con sua moglie e i bambini di due e cinque anni. Racconta: “Ho iniziato a cercare un altro lavoro perché avevo il dubbio che fosse una scelta obbligata: non sapevo quanto sarebbe durata la mia collaborazione con la ditta per cui lavoravo. Col tempo la situazione si è sbloccata, ma intanto sono arrivate tantissime proposte di lavoro dall’Inghilterra. Ho fatto vari step di colloquio, chiacchierate informali su skype, alcuni test di codice. Poi una ditta ha voluto un incontro. Ho chiesto ospitalità ad un amico che vive a Londra ed ho contattato tutte le ditte interessate. In 3 giorni ho fatto 8 colloqui, alla fine dei quali ho ricevuto 7 proposte di lavoro, e ho scelto”.
Dopo un periodo di prova di tre mesi, Marco è stato ufficialmente assunto da Shazam. In una fase di ristagno economico, che esistano tante possibilità di lavoro fra cui poter scegliere sembra un sogno. Con qualche lato negativo, ovviamente: “Londra è molto cara. E’ vero, come dicono, che in Inghilterra gli stipendi sono il doppio, ma gli affitti sono tre volte tanto. In ogni caso faccio questo lavoro da dieci anni, quindi mi sono proposto da subito con una richiesta economica di un certo tipo: con il mio stipendio riesco a mantenere tutta la famiglia, cosa che in Italia sarebbe impensabile. Certo, nel trasferirci abbiamo avuto qualche difficoltà: fraintendimenti con la ditta di traslochi, caparre di affitto bloccate, il bambino che è entrato a scuola solo a novembre perché prima era in lista d’attesa. I servizi per l’infanzia inglesi non sono capillari come in Emilia dove, diceva Nanni Moretti, ci sono i migliori asili del mondo. Però si può fare, più che altro sembrava molto difficile pensare di farlo quando eravamo in Italia”.
Una sfida che si può affrontare, anche con due bambini piccoli. In questi giorni Irene, la moglie di Marco, è a Roma con lo spettacolo teatrale di cui è regista. Per aiutare Marco con i bimbi, i nonni sono andati a Londra. Basta organizzarsi. Oltre al suo lavoro inglese, Marco continua a lavorare anche in Italia ad un’iniziativa che ha inventato con alcuni amici: “Le conferenze degli sviluppatori web sono in genere molto tecniche. Nel 2010 mi è capitato di seguirne una in Olanda: era un evento più ampio, un tentativo di vedere in modo diverso il nostro lavoro, quello che possiamo fare ed essere. Con un paio di amici, abbiamo messo in piedi “From the front”. La prima edizione, nel 2010, era ad ingresso gratuito in un pub, con qualche speaker improvvisato, partecipanti di Bologna e Modena. Con gli anni il progetto è cresciuto, è diventato internazionale e l’ultima edizione è stata un vero successo: “Lo scorso anno siamo passati da una striste aula universitaria alla cornice del teatro Duse di Bologna. Abbiamo invitato a parlare solo ospiti stranieri, dal fondatore di Twitter a guru del nostro settore. Il feedback di chi ha partecipato è stato grandioso e stiamo già lavorando alla prossima edizione. Nel frattempo io stesso ho provato a tenere alcune conferenze, nonostante sia timido davanti al pubblico: ho parlato a Parigi, a Zagabria e in Italia”.
Un po’ di intraprendenza non può che giovare, ma c’è dell’altro. Marco sottolinea un aspetto importante della sua storia: “Il grande vantaggio di lavorare in Inghilterra, a mio parere, è la cura del rapporto di lavoro. Non sto dicendo che da noi i datori di lavoro sono farabutti e a Londra no, la differenza sta nel mercato. Lì l’offerta è superiore alla domanda, e per trovare sviluppatori bravi le aziende sono disposte ad investire. Di conseguenza, un lavoratore non si sente grato di avere un posto, né vive nel terrore di perderlo. Quello che mi preoccupa davvero dell’Italia è che non vedo prospettive per le nuove generazioni. Ma non rinnego il mio paese, anzi. Sinceramente non sento neppure di essere scappato”.